lunedì 4 dicembre 2017

December 4th, 1980 — Liturgia

 Le preghiere, le litanie, i mantra: nascono dalla ripetizione.

Finiscono per perdere i legami con le parole e i concetti che li compongono e diventano suono, suono, suono, suono che fa da sottofondo al significato più profondo, a quel che in realtà davvero conta, al nucleo di quel che è e che - in questo caso - fu una Fine.

La mia litania solita in questo giorno recita così:

Il quattro dicembre è quel giorno che guardo arrivare come se stessi osservando un piatto che, accidentalmente, cade dal tavolo.
Lo vedo cadere al rallentatore, non posso fare nulla per cambiarne la traiettoria, per fermarlo, per far cessare la caduta.
E poi si infrange al suolo e, sempre al rallentatore, mille schegge saettano in tutte le direzioni, compresa quella che porta dritto al mio muscolo cardiaco.
Questa è la scheggia numero [...].

Improvvisamente oggi comprendo appieno il significato della scheggia diretta verso il mio cuore: è la scheggia che dice che non potrò mai essere felice in questa vita, è la scheggia che dice che il vuoto in continua espansione è la forza preponderante  che accompagna questo percorso, è la scheggia che dice chiaramente che certi moti terreni dell'animo (rabbia, livore, presunzione, desiderio di vendetta e compagnia bella) sono inutili, vani, e consumano e uccidono.

Recito dunque anche questo anno la mia litania, poiché la liturgia - questo tipo di liturgia - m'attrae e conto: scheggia numero 37.

Oh, be', sì... non sarò mai felice, ma conosco la gratitudine ed essa è di conforto.

Grazie, voi quattro, dunque: effimeri e solidi al tempo stesso, compagni del mio essere un nulla.

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sabato 30 settembre 2017

Il libro dell’infanzia [parte 2 di 2]

tramonto bretone 12 08 2017
Il penultimo tramonto bretone che ti ho raccontato, mamma

 

"Ciao, ti devo dire subito una cosa."

Lo dice con la voce affannata di un affanno bello, gioioiso, quasi infantile.

"Dimmi tutto."

"Allora... la maestra Anna mi ha detto che hanno ridipinto le aule della scuola elementare, una diversa dall'altra e, pensa un po' che roba, una delle aule è dedicata al Toro!"

"Ma va là!"

"Ma sì! Anna sta organizzando una visita: non vedo l'ora..."

Giro giro tondo
Casca il mondo
Casca la terra
Tutti giù per terra

"Silvia."

"Madre."

"Se oggi non rispondo al telefono è perché vado a vedere l'aula del Toro."

"Va bene, poi mi racconterai."

La telefonata successiva non è quella di una gentile ma arzilla signora di oltre ottant'anni, no no... è quella dell’indomita ragazza e poi donna che avevo visto crescere mentre crescevo anche io.

"Sapessi...", "E poi...", "Ma una roba, una roba, una roba..."

La ascolto beneficamente travolta dall'energia che mi comunica e mi intenerisco per le parole che esprime per Aldo.

Chi è Aldo? Oh, be'... Aldo è un pittore che non è un pittore che è un pittore.

Aldo è colui che ha dipinto le aule della scuola elementare e che ha scelto, con il cuore, di dedicare un'aula al Toro.

È importante ricordare che Aldo è un pittore che non è un pittore che è un pittore, néh? Importantissimo.

Bene.

Mamma e Aldo parlano del Toro, vicendevolmente rapiti dall'amor comune per il granata e poi ciao ciao, arrivederci, grazie, prego.

Dopo qualche giorno mi chiama di nuovo con la voce affannata di un affanno bello, gioioiso, quasi infantile.

"Ti chiedo un consiglio. Vorrei fare un dono ad Aldo per ringraziarlo per la sua opera: che cosa ne dici?"

"Mi sembra un'ottima idea!"

"E poi vorrei scrivere un biglietto che inizia così: 'Da sorella Granata a fratello Granata...'... ma ho paura di esagerare: dici che va bene?"

"Sì, mamma: sei nel pieno rispetto della liturgia granata. Brava!"

Nei giorni successivi Aldo riceve una sciarpa del Toro e un biglietto di ringraziamenti dalla mia mamma e la storia finisce lì.

Nah: la storia prosegue.

La mia mamma vola in cielo, i giorni sono strani ed alieni.

Dario, un mio caro cugino, mi invia la screenshot di un post, che Aldo ha pubblicato su Facebook (maledetta/benedetta agorà), la cui chiosa è: "In quel momento mi viene in mente una cara persona scomparsa pochi giorni fa che mi scrisse un bel biglietto..iniziava così...'Da sorella Granata a fratello Granata....'".

Mi viene la pelle d'oca alta mezzo metro, le vertigini, la voglia di urlare che la mia mamma mi manca da morire, una strana felicità nel saperla amata anche da chi l'ha conosciuta per pochi attimi.

Mi faccio coraggio - io sono timidissima, che ci si creda o meno - e contatto Aldo.

Chiacchieriamo quel poco che basta per saperci parte della - rullo di tamburi da momento retorico - Famiglia Granata.

Mi chiede dove sia sepolta, mi dice che andrà a visitarne la tomba.

E ci va.

Aldo va a visitare la tomba di mamma e poi mi scrive di averle lasciato un dono, ma di temere che qualcuno lo porti via.

"Non ti preoccupare, Aldo: ci penso io."

Chiamo immediatamente la maestra Anna (io la chiamo 'la maestra' perché tale è, ma è soprattutto un'Amica e una persona di rara sensibilità e intelligenza) che si fa carico di passare dal cimitero.

Anna mi chiama la sera e, con voce rotta dal pianto, mi dice: "Aldo ha lasciato... ha lasciato un libro sulla tomba di tua mamma. Aspetta, ti dico il titolo... 'Gigi Meroni...'"

"... Il Ribelle Granata. Scritto da Marco Peroni, illustrato da Riccardo Cecchetti."

Sto piangendo.

"Lo conosci? Ma non finisce qui, Silvia, ascoltami: Aldo ha fatto un disegno sulla prima pagina del libro... è una meraviglia... e ha scritto una dedica..."

"Puoi leggermela, per favore?"

aldo

La telefonata prosegue per qualche altro minuto, ma sia Anna sia io siamo sopraffatte da qualcosa a cui non sappiamo dare un nome e che fa bene e fa male contemporaneamente.

Il libro mi viene consegnato da Anna qualche giorno dopo ed ora è qui, sulla mia scrivania, fra gli oggetti cari.

La bella lavanderina
che lava i fazzoletti
per i poveretti
della città

Il mio papà e la mia mamma non ci sono più e la loro assenza è devastante, pur tuttavia li sento riecheggiare in me e - meravigliosa meraviglia - in quelli che hanno saputo e/o voluto amarli, stimarli, apprezzarli.

Mamma, papà: ho chiuso il libro dell'infanzia.

Improvvisamente mi rendo conto di quanto possa essere divertente la maturità e allora vado avanti per la mia strada: grazie per avermi insegnato quali siano i punti cardinali.

Pensavo di esser persa senza di voi e invece grazie a voi riuscirò - a volte con fatica e a volte no - a ritrovarmi.

Così sia.


 

Un monumentale ringraziamento a:
- Aldo per l'umiltà e la sensibilità con cui va per la sua strada
- Anna perché è Anna
- Mio cugino Dario perché quando raramente ci incontriamo mi dice il suo affetto e io gli dico il mio
- Quelli che qui non menziono perché sono pigra
- Il Toro (quello che mi hanno insegnato mamma e papà)

venerdì 22 settembre 2017

Il libro dell’infanzia [parte 1 di 2]

mamma e io piccola
Non ha mai smesso di guardarmi con quell'amore lì. Mai.

 

Fai un salto
Fanne un altro
Fai la riverenza
Fai la penitenza
Guarda in su
Guarda in giù
Dai un bacio a chi vuoi tu

Avevo chiuso Pagina Infinita? E mo' la ricomincio, ricomincio da zero, zero come il numero di genitori che mi sono rimasti.

Mannaggia, che caratteraccio, che modo brusco di dire le cose...

Ci sono cose che non cambiano mai: una di queste è che continuo a chiamare le cose con il loro nome. Vabbe'.

Non so da dove iniziare né come procedere, allora vado in ordine sparso.

Il giorno dopo aver chiuso Pagina Infinita ero stata investita da un metaforico treno di cui preferisco non esporre i dettagli e stavo per lasciarmi andare ad un'enorme sfiducia nei confronti del futuro. Ho/abbiamo fatto, strafatto e brigato, e forse ho/abbiamo ragione di credere di potermi/ci risollevare dalla questione in oggetto. Quale questione? Ah, oh, uh: una questione pesante. Punto.

Con l'anima a pezzi e la stanchezza fisica e mentale di una porella che non ha mai tregua, si era deciso comunque di andare a trascorrere qualche giorno in Bretagna.

Ah, la Bretagna... quasi la mia seconda casa: i suoi alberi aspri, il suo oceano multicolore, il suo sidro fresco e frizzante, il suo vento delicato. Sì, sicuramente mi avrebbe fatto bene.

Mi ha fatto così bene che dormivo come un ghiro, tipo svenire prima delle ventidue e recuperare i sensi nove ore dopo: robe mai provate dalla sottoscritta.

Lo raccontavo, un po' stupita, a mamma durante la solita telefonata delle sette e mezza, cui faceva seguito la telefonata delle diciassette per raccontarle di quanto i nostri sensi avessero raccolto durante la giornata.

Lei era tanto contenta che io riuscissi a riposarmi...

Con mamma, da quando era mancato papà, funzionava così: ci sentivamo alle sette e mezza e alle diciassette. Sempre. Tre volte era successo che non rispondesse e si era scatenato l'inferno.

La prima volta: aprile 2016. Chiamo, richiamo, chiamo ancora. Niente. Chiedo ad una persona di fiducia di andare a verificare e... era al piano superiore a mettere a posto chissà che cosa e non aveva portato il telefono con sé.

La seconda volta: gennaio 2017. Chiamo, richiamo, chiamo ancora. Niente. Chiedo ad altra persona di fiducia di andare a controllare e... stava chiacchierando con le amiche dopo la messa e non aveva sentito il cellulare.

Che persona ansiosa e ansiogena (io).

La terza volta: il 12 agosto di quest'anno. Chiamo, richiamo, chiamo ancora. Niente. Chiedo consiglio a mio fratello, che mi dice di mandare la persona di fiducia della prima volta a capire se sia successo qualcosa e... era al cimitero con le amiche, la suoneria del cellulare al minimo, le chiacchiere, "Scusami, Silvia, d'ora in poi terrò il cellulare in un marsupietto così non mancherò di rispondere..."

Ripeto: sono ansiosa e ansiogena.

Eppure sentivo qualcosa nell'aria, qualcosa di fastidioso e acre, ero sempre nervosa come un gatto prima del temporale.

Facile dirlo adesso, eh? Eppure era così.

Nella telefonata pomeridiana del 12 agosto mi aveva detto che sarebbe andata fuori a cena con le amiche. Mi rendeva felice saperla propositiva e progettuale, ma il giorno dopo mi aveva detto che era andata a casa presto perché le era venuta la malinconia.

La malinconia.

Nelle ultime settimane mi parlava spesso della sua malinconia: le mancava papà e tutta la gioia che metteva nel parlare del futuro (a settembre, adesso, avrebbe voluto portare le sue amiche a Superga) era resa opaca dal velo dell'incompletezza che papà le aveva lasciato insieme con la sua assenza.

Era diventata anche più dolce, più aperta nell'esprimere i propri sentimenti: una tenera vecchietta con la forza dell'indomita ragazza e poi donna che avevo visto crescere mentre crescevo anche io.

Il giorno dopo mi aveva detto che era andata a casa presto perché le era venuta la malinconia, giusto? Giusto.

Il pomeriggio del 13 agosto ci eravamo sentite ancora e mi aveva raccontato della morte di Maria, un'amica di famiglia, e del fatto che l'avesse vista il martedì e le avesse dato dell'uva.  Poi ci eravamo dette le solite cose e pimpiripettennusa, pimpiripette pam ci eravamo salutate: "Fai la brava", "Anche tu", "Ciao, Mamma", "Ciao".

Ciao, Mamma.

Lunedì 14 agosto

Poco prima delle sette partiamo dalla Bretagna per tornare a casa. Mi riprometto di chiamare mamma alla prima sosta. La chiamo alle otto: non risponde.

La chiamo alle otto e mezza: non risponde.

La chiamo alle nove: non risponde.

La chiamo alle nove e mezza: non risponde.

Dentro di me faccio due più due e il risultato è quattro.

Ma non può essere, dai... ci sarà una spiegazione, non posso pensare sempre male... eppure...

La chiamo alle dieci: niente.

La chiamo alle dieci e mezza: niente.

Boh, magari è andata prima al cimitero e poi al funerale di Maria... eppure...

Continuo a chiamarla ogni mezz'ora, sul fisso e sul cellulare, ma niente. Faccio di nuovo due più due e il risultato è sempre quattro, ma mi aggrappo al fatto che una spiegazione ci sia.

Alle dodici e trenta capisco che non ci sono spiegazioni, anzi: che ce n'è una sola.

Sono nel bel mezzo della Francia e chiamo mio fratello, chiedendogli scusa per il mio essere ansiosa e ansiogena, ma... ma parte e va da lei.

Tocca a lui trovarla.

Tocca a lui chiamarmi.

Io sono in mezzo alla Francia, in un cazzo di ingorgo, e mia mamma è morta.

Il primo pensiero è totalmente autocentrato e autoreferenziale: perché il fato mi ha fatto perdere entrambi i genitori in poco meno di due anni? Perché?

PERCHÉ?

E poi i chilometri si susseguono, le ore pure, la sera arriviamo a casa e lei dorme, dorme serena, dorme nella sua scatolina di legno.

Riesco solo a dirle grazie e ad accarezzarle le mani. Quelle mani che mi hanno cullata, accarezzata, sostenuta. Quelle mani che hanno preparato tante pappe per i miei figli e per i figli di mio fratello. Quelle mani.

Non dormo, quella notte.

Non mangio quasi, il giorno successivo.

Poi arriva il giorno del funerale e poi il funerale finisce e poi riprende la routine e sono stordita, sono disorientata, sono più monca di prima, cazzo.

Gli amici mi fanno muro intorno e sono loro grata: è tutto difficile.

È difficile pensare: "Adesso chiamo la mamma e glielo dico... ah, no."

È difficile vivere il (quasi) senso di colpa di non pensare (quasi) più a papà.

È difficile spiegare la perversa felicità di saperli/sentirli di nuovo insieme.

È difficile spiegare il perverso senso di pace nel vedere le lapidi vicine, così come erano vicini quando erano qui.

È difficile guardarmi alle spalle ed essere capostipite.

È difficile.

In meno di due anni ho perso la persona che rispondeva a TUTTE le mie domande e la persona con cui ci si raccontava TUTTE le cose, dalle più stupide alle più profonde.

Mi sento divisa in due: una parte di me non ho più paura di niente, l'altra ha paura di tutto. Queste due 'me' camminano a braccetto, ogni tanto una prevale sull'altra, e dunque provo - di nuovo - a imparare a camminare.

Spesso fa capolino il mio sano realismo hippy che mi fa dire: "Sono stata coperta di amore da quei due, di che cosa mi lamento?"

Mi lamento di essere sola su questa terra.

Sì, lo so, non sono veramente sola, ma... ma.

Odio davvero l'Estate, stagione infame che mi ha portato via il mio papà e la mia mamma, ma questa sera arriva l'Autunno e allora magari alcune asperità si faranno più accettabili.

Venga dunque l'Autunno e che i suoi colori, le sue nebbie, le sue piogge, rendano più sopportabile e ragionevole questo vuoto.

Che cos'è il vuoto, d'altra parte? Nuova tela su cui dipingere.

Per ora basta: scrivere mi affatica, pensare mi affatica, rivivere tutto mi affatica, la fatica mi affatica, ma ci sono altre storie che vanno raccontate e le racconterò.

Soprattutto mi preme di raccontare una storia speciale che riguarda la mia mamma.

La mia mamma, il Toro e... un pittore.

A presto.

[non rileggo e invio]

 

mercoledì 3 maggio 2017

Non mi diverto più

Dunque: ciao, è stato bello. Tanto. Sono grata ed è ora di andare altrove. Sparire, forse.

Saluto con le parole di Echo-Maya Lopez (e chi cazz'è? Informatevi, ignoranti).

"Oggi ho incontrato un cieco che mi ha aperto gli occhi.
Ho incontrato qualcuno che ho percepito come un altoparlante contro il mio cuore.
Qualcuno che mi ha fatto capire che le risposte non sono tutto.
Devo gustarmi le domande.
Qualcuno che fa sembrare divertente la maturità.
Ma prima devo chiudere il libro dell'infanzia."

Pagina Infinita finisce (sic) qui.

Cordiali saluti.


lazilvia unicornica

Soundtrack: The Rain Song, una versione qualunque.

martedì 2 maggio 2017

Dreams

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In cerca di un dignitoso tramonto

In ordine non cronologico.

Sogno n. 1
Davide la scorsa notte ha sognato di sognare (eh...) di star guardando il derby in TV poi di svegliarsi poi di essere al Grande Torino, anche se si trattava del derby di ritorno, e di vedere Iago Falque andare in goal: tre o quattro dei nostri erano nell'area avversaria, rimpalli vari e Falque su una palla che viaggia al limitare dell'area piccola riesce a toccarla e a insaccarla nell'angolo di sinistra poi è suonata la sveglia.

Sogno n. 2
Tiziana. Quella che ha realizzato il Quadro della mia Anima, quella che ogni tanto mi sogna, quella, insomma. Tiziana mi scrive di aver sognato il mio papà così qualche notte fa.
"Silvia, 'stanotte ho sognato tuo papà! Eravamo nella tua casa di campagna (! - che io non conosco, e dunque chissà che casa era, e comunque nei sogni anche le nostre stesse case sono diverse...), in cucina, una cucina luminosa e raccolta.
Tu, tua mamma, e una bambina sui tre anni, eravate sedute a tavola, tuo papà era in piedi con una mano appoggiata alla spalliera di una sedia; stavate chiacchierando.
Io sono entrata, e rivolgendomi a tuo padre ho detto: "Signor Lachello, come ha lavorato bene! Ha lavorato proprio a regola d'arte!" (ho usato proprio queste parole: a regola d'arte)(avevo forse, non ricordo bene, visto dei lavori che lui aveva fatto in casa, degli aggiustamenti).
Dicendogli questo gli ho porto la mano destra e lui me l'ha stretta, ma con la mano sinistra... ovvero, non era la stretta di mano di due che si incontrano o che chiudono un affare, era la stretta di mano amichevole di due amici.
E lui era così contento che io gli aveva detto che aveva lavorato bene. Gli brillavano gli occhi.
Tu a quel punto hai detto: "Ci vuole un dolcetto! Lo vai a prendere?", rivolgendoti a me. Tua mamma ti ha guardato lievemente preoccupata come per dire: "Ma ci mandi lei? Non conosce la casa" e tu l'hai guardata sorridendo come per dire: "Tranquilla, li trova". Tutto ovviamente senza dire niente 😊
Allora io ho cominciato a girare per la casa, prima ho aperto una porta che portava a una camera da letto, poi ne ho aperta un'altra ed era un salotto, e al centro del tavolo c'era un'alzatina di quelle vecchio tipo, e dentro c'erano alcuni Baci Perugina (sic!). Ne ho preso uno per ciascuno e li ho portati in cucina dove voi mi stavate aspettando, sempre nelle solite posizioni, solo che la bambina si era alzata e stava in piedi sulla sua sedia, come a volte fanno i bambini quando sono contenti. A quel punto il sogno è finito 😀
Tuo papà aveva uno sguardo gentile e divertito e indossava una maglia calda in lana, una polo color granata "
Il mio bellissimo papà.

Sogno n. 3
Boh, vedete voi.
eddie + cult
Tutto merito di Baby (complice della mia partecipazione al concerto di Robert - sigh - Plant dello scorso anno) e di Rocco ("Vieni anche tu a vedere i Cult?").
Io non so se riuscirò ad andarci ma i biglietti li ho: è il MIO modo per dare fiducia al futuro.

 

Ciò detto: arranco lungo questa strana settimana inevitabilmente fatta di magone, rabbia, possibilmente sorpresa, tutte cose.

In verità arranco in generale, ma faccio finta di niente perché l'arrancare non mi appartiene e, soprattutto, destabilizza alcuni e chi sono io per rompere le gonadi agli altri? Nessuno. Io non sono nessuno. Io non sono proprio nessuno. Aaaaaaaaaaaah, che pace.

Forza Toro, néh?

E forza anche me: quella che è talmente abituata a farsi il tifo da sola che sta raggiungendo limiti sempre più alti di autosofferenza... ah, no: autosufficienza, autosufficienza... aaaaaaaaaaaah, gli scherzi del subconscio.

Au revoir.

Maybe.


Soundtrack: Baby Come On Home, Led Zeppelin, Coda

martedì 28 marzo 2017

Quell'attimo

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Pur amando alla follia la pioggia e il vento, se si palesano insieme trattasi di ebbrezza, esiste un brevissimo momento quando termina la pioggia che è tanto difficile da afferrare con i sensi quanto è facile respirare

Dura un attimo e dà inizio alla quiete.

Conosco quell'attimo, lo conosco bene.

Ne conosco anche una versione che dura sette minuti e trentanove secondi e si chiama The Rain Song.

The Rain Song è fatta della stessa sostanza di alcuni attimi della mia vita.

L'attimo in cui sono venuti al mondo i miei figli.

L'attimo in cui sono tornata a casa dal funerale di mio padre, mi sono coricata e mi sono - finalmente - addormentata di un sonno monumentale.

L'attimo in cui mio marito ha riaperto gli occhi dopo l'ultima operazione.

L'attimo in cui sono tornata a Londra dopo ventiquattro anni.

L'attimo che ho vissuto tutte le volte in cui ho potuto abbandonarmi a me stessa, solo a me stessa, con la consapevolezza di essere mortalmente stanca e il cuore più leggero.

Il cuore più leggero, sì.

Lighthearted, non spensierata.

Lighthearted.

Chi è lighthearted ride, scherza, si lascia andare.

Poi ci sono quelli che, invece, pensano con il culo e hanno il culo molto pesante e allora cercano di ammorbare, ammorbare se stessi e gli altri, ammorbare e basta.

Facciano, facciano pure.

Oggi è il quarantaquattresimo compleanno di Houses Of The Holy, l'album dei Led Zeppelin che non smette di essere il mio preferito.

Ha una copertina particolare, così particolare che ad alcuni dà fastidio e mi ha divertito giocare con questo fastidio qui, ma ciò che lo rende speciale è la sua seconda traccia:  The Rain Song, appunto.

Buon ascolto e grazie per l'ennesima volta.

Grazie per riportarmi sempre a casa ovunque essa sia, ovunque io sia, comunque io sia.


lunedì 20 marzo 2017

Io sto con i Maquis

Io sto con i Maquis.

Io sto con gli Indiani.

Io sto con Plutone.

Io sto con Joe Hart.

Ecco, appunto: io sto con Joe Hart e con i suoi errori e il suo rialzare la testa e il suo salvare il risultato e il suo fare quel che deve fare.

Io non sto con i due coglioni che ho avuto la sventura di incontrare ieri mattina e che avevano bisogno di vomitare il loro nulla su di me mentre chiacchieravo con mia figlia.

coglione 1

coglione 2

Io sto con i Maquis e se non sapete chi sono i Maquis informatevi.¹

Quanto a Plutone... non è il fatto di essere stato privato della dignità di pianeta che lo rende meno importante di prima.

Fate uso della ragione, anche qualora sia poca.

Sempre.

Que viva siempre el Toro: olé.


¹ Sia quelli francesi sia quelli di Star Trek, néh?

domenica 5 marzo 2017

Il Ciclone

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Quella volta in cui eravamo a Parigi e ci prendevano in giro perché non facevamo altro che parlare di Belotti Belotti Belotti e poi mi era arrivata la telefonata di papà che ci diceva che era finalmente nostro.

Quella volta in cui ti avevo detto che non avrei più donato il cuore ad un calciatore.

Quelle volte in cui segna (tante!) e mi viene un po' il magone perché papà non l'ha mai visto segnare.

Quella volta in cui ha fatto una tripletta e mi ha confermato che so che cos'è l'amore.

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domenica 26 febbraio 2017

Il pirla

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Si chiama Luna: è un satellite. Guardare Lei, invece che guardare altro, è una scelta.

Il pirla che viene a curiosare nel mio blog per poi chiedermi perché mi sono dimenticata di parlare di argomenti che riteneva doveroso io sviscerassi.

Vabbe'.

No, non ho parlato dell'anniversario di Physical Graffiti (24 febbraio 1975), né di quando ricevetti il remaster del medesimo album (25 febbraio 2015), né di quando bla bla bla Toro al San Mamés (26 febbraio 2015).

Però mi va di parlare del 23 febbraio 1936, che è il giorno in cui nacque la mia mamma.

Ebbene sì: la mia mamma è diventata maggiorenne al contrario, ha compiuto 81 anni e per celebrare l'evento è venuta a farsi un giro per Torino.

È stata una bellissima giornata e c'eravamo tutti: lei (ma va là?), mio fratello con moglie e figli, io con marito e figli.

Non abbiamo fatto nulla di particolare: un bel pranzo insieme e poi liberi tutti, ma prima del rompete le righe... oh, sì: un grande momento emozionale. GRANDE.

Torno un po' indietro nel tempo, torno all'estate del 2014, l'estate in cui papà affrontò un pesante intervento chirurgico. Papà condivideva la stanza d'ospedale con G.: stessa patologia (reparto di oncologia, allegria), più o meno la mia età.

Certe alchimie accadono, semplicemente accadono, e papà e G. divennero amici. Amici veri. Alchimia, si tratta di alchimia e anche di buona sorte poiché non a tutti è dato di incontrare simili. Soprattutto non a tutti è dato di avere voglia di coltivare rapporti umani.

Faccio qualche passo in avanti e vado all'estate del 2015, vado al giorno in cui papà vola via, vado al giorno successivo quando mi reco da G. per dirglielo. Non ho le parole per raccontare l'affetto e il dolore dell'abbraccio lungo che ci scambiammo.

Tutto chiaro? Sì, bene.

Prima del rompete le righe, dicevo, un grande momento emozionale.

Bighellonando, dopo pranzo, ci avviciniamo al negozio di G., guardo attraverso la vetrina: è dietro il bancone. Anche lui alza la testa e mi vede. Ci guardiamo come due bambini un po' intimiditi e poi prendo mamma e le dico: "Dai, vai a salutare G."

G. le va incontro aprendo le braccia e stringendola poi con una dolcezza di cui, forse, neppure io, figlia, sono capace. Si parlano, si sorridono, non nominano papà: papà è lì.

Soprattutto: G. afferma ancora una volta di stare bene.

Sono felice.

Sono felice perché lui ce l'ha fatta, sono felice perché so riconoscere i sentimenti, i sentimenti veri, sono felice perché mamma è felice, sono felice.

C'eravamo proprio tutti.

Così come c'eravamo tutti quando uscì Physical Graffiti¹ il 24 febbraio 1975 ed io ero persa nei meandri della quarta elementare e avrei conosciuto quell'album doppio solo dopo qualche anno.

Così come c'eravamo tutti quando ricevetti il remaster del medesimo album il 25 febbraio 2015.

Così come c'eravamo tutti quando il Toro vinse al San Mamés il 26 febbraio 2015 ed ero felice per me, per NOI, per il mio papà che stava andando nella direzione da cui non si ritorna.

Quindi, caro pirla, che non hai nulla di meglio da fare al di là del guardare quel che gli altri non fanno... caro pirla... fatti una vita.

Guardati intorno.

Sperimenta qualcosa che non conosci, sia che si tratti di una nuova pietanza oppure del parlare con gli altri esseri umani.

Quando si fa buio, possibilmente in mancanza di nubi, volgi lo sguardo al cielo, unisci i puntini che chiami stelle e inventa storie.

Quando piove, possibilmente in mancanza di ombrello, annusa l'odore della pioggia, lascia che le gocce ti cadano sulla pelle, sperimenta di avere un corpo che va al di là delle falangi che agiti sullo smartphone.

Quando c'è il vento, possibilmente bello forte, chiudi gli occhi e immagina di essere - che so... - un vichingo alla prua di una nave diretta verso nuove terre.

Quando c'è il sole, possibilmente nei giorni di canicola, riparati all'ombra e, come in altri casi sopra elencati o da me solo pensati, smetti di rompere i coglioni, sciò, pussa via.

Ho bei ricordi a ricordare² e ancora da vivere, ho la Musica a farmi da compagna, faccio parte di una famiglia in cui l'amore viene messo al primo posto, dispongo di risorse interiori che mi hanno mantenuta integra fino ad oggi e continueranno a farlo.

Ah, ho anche sempre molta voglia di ridere, a volte amaramente ma sempre di riso si tratta, per cui non offenderti se ti chiamo pirla: avrei potuto usare altri epiteti, ma quelli li lascio a te e alla tua disfunzionalità vocabolaristica, quella che ti fa sempre scegliere di esprimerti con la merdanza della tristezza di cui sei rappresentante sopraffino.

A ognuno le proprie eccellenze, via.

Cose del mese di febbraio: avanti verso marzo.


¹ Minchia, che album. ♥

² ... e quei giorni del febbraio di due anni fa erano stati così e così. Per dire.

domenica 29 gennaio 2017

Dell’essere avvezzi o meno

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Questa foto non c'entra nulla con lo scritto.
Semplicemente mi ricorda che anche quando sono sola non sono mai sola e che mi mancano le Shetland.

 

Non andavo allo stadio dal giorno dell'ultimo derby: correva l'undici dicembre duemilasedici e da allora sono passati ottocentoquattro oppure quarantanove giorni, a seconda che si parli di tempo LaZilvico o normale.

Invece di prendere il bus e basta, io e il mio prode compagno di stadio (nonché figlio primogenito) abbiamo deciso di puntare sull'accoppiata metro più bus.

Ottima decisione: usciti dalla metro e in procinto di attraversare la strada per raggiungere la fermata del bus siamo stati avvicinati da un bel signore di una certa età, che ci ha squadrati per bene ed ha espresso, con voce stentorea, il suo pensiero: "Questa dobbiamo vincerla, eh?"

Il tempo di scambiare qualche parola e tra un "Forza Toro" e un "Forza Toro sempre" ci siamo salutati.

Ripreso il percorso, scesi dal bus ci siamo avvicendati sulle poche decine di metri che ci separavano da Piazzale Grande Torino. Quasi lì giunti e nell'atto di attraversare la strada abbiamo ricevuto da una madamìn, che andava in senso inverso rispetto al nostro, un sorriso e un "Forza Toro": entrambi gratis.

Ottocentoquattro oppure quarantanove giorni corrispondono a circa un eone: ci tengo a precisarlo per coloro che non fossero avvezzi alla matematica.

Prima di entrare nello stadio mi è capitato di parlare con una persona ferita da una perdita recente e, essendo pure io persona ferita da una perdita (un po' meno) recente, si è verificato un momento di tenerezza.

Le persone ferite da perdite (più o meno) recenti hanno bisogno di tenerezza: ci tengo a precisarlo per coloro che non fossero avvezzi ai sentimenti.

Ciò ha dato il la ad un lungo discorso con mio figlio relativamente alla morte del mio papà. È stato liberatorio per entrambi ed abbiamo anche finito per ridere ricordando quella voce così calda e speciale in occasione di imprecazioni ma anche no.

Le persone che imprecano sanno anche - e forse più spesso - dire e dare la dolcezza che tutto rende più lieve: ci tengo a dirlo per coloro che si fermassero, spinti dall'irresistibile bisogno di giudicare, alle imprecazioni. Oh, be'... mica siamo tutti avvezzi ad apprezzare le diversità, néh?

La partita... vabbe', lasciamo perdere: va bene?

Dopo la partita c'è stato il saluto a Vives (grazie, Peppino, grazie) ma io sono uscita per evitare di parteciparvi: mal sopporto gli addii ultimamente.

Lo stadio chiamava Peppino e noi percorrevamo lo spazio che porta verso il Piazzale Grande Torino.

Davide ha esitato un attimo.

"Che succede, Davide?"

"No, pensavo... lascia stare, andiamo."

E ho capito.

"Corri, ti aspetto qui, corri!"

L'ho visto correre fulmineo su per la scala per andare a salutare Vives. Mio malgrado - avevo le gambe irrigidite dal freddo - l'ho lentamente seguito e raggiunto.

Gli ho accarezzato la schiena, lui si è voltato e infine siamo usciti.

Infreddoliti dall'inverno, delusi dalla prestazione della squadra, arrabbiati perché chi dovrebbe provvedere non provvede, rasserenati dall'aver guadagnato senza sforzo alcuno tenerezza ed emozioni.

Mi tengo il guadagno, via: la vita è bella.


Questo brano si intitola "Baby, Come On Home" ed ha lo stesso profumo dei tempi migliori: lo ascolto con il cuore aperto in attesa del loro ritorno. Il resto è fuffa¹.


¹ Vogliano scusarmi i pensatori più pensatori di me se quando faccio i miei pensierini utilizzo solo ed esclusivamente il mio sentire e tutto ciò che la vita - che è bella, ripeto - mi ha dato e mi ha pesantemente e bastardamente tolto (e non mi riferisco solo alla morte di mio padre): non sono avvezza a far altro che rispettare l'altrui pensiero e contestualmente essere inesorabilmente me.

lunedì 23 gennaio 2017

Mi fai un quadro?

Più o meno è andata proprio così.

Le ho chiesto: "Mi fai un quadro?"

E lei me lo ha fatto.

È uscito dalle sue mani, dal suo cuore, dai suoi occhi, dalla sua anima grande.

"Dimmi che cosa vuoi che ci sia nel quadro."

paesaggio notturno
orsa maggiore
luna crescente
fiumiciattolo (ruscello, insomma)
capelli lunghi e ricci
occhi verdi
collina
"sopra tutti noi, sopra tutti noi, deve cadere un po' di pioggia, è solo un po' di pioggia, sì"
due goccine di pioggia si possono avere?

Tra la mia richiesta e la nascita del quadro sono accaduti affanni, nella vita sua e nella vita mia, ma non è venuta mai a mancare la voglia di guardarci e di ascoltarci.

Oggi è venuto alla luce e fra pochi giorni sarà a casa mia. È un quadro che nasce con la Luna in Sagittario: anche io ho la Luna in Sagittario.

quadro
Daughter of the Moon

Giusto l'altro giorno mia madre mi diceva "Tu avresti bisogno di qualcosa di caldo". Eccolo lì: un mantello granata ma - soprattutto - la comprensione.

Tanta robbba.

Lei si chiama Tiziana Rinaldi e dipinge; questo è il suo sito: http://tizianarinaldi.it/

Lei per me è semplicemente Ti e parte della mia buona sorte è averla incontrata.

lunedì 9 gennaio 2017

Settantatré


Rimango incollata a te perché non mi devi nulla e io non devo nulla a te: in questo senso, e solo in questo, siamo pari.

Il Fato mi ha donato la buona sorte di conoscerti e di riconoscermi grazie alle tue note, talvolta stridenti e molto più spesso coinvolgenti, e tanto mi basta.

Nei momenti bui sei stato uno dei rari appigli che han fatto sì che non mi perdessi nel buio definitivo.

jimjam-sketch-per-compleanno-2017
Ogni tanto (ti) scarabocchio mentre sono soprappensiero

Per questi e innumerevoli altri motivi: buon compleanno n. 73, Jimmy.