lunedì 4 dicembre 2017

December 4th, 1980 — Liturgia

 Le preghiere, le litanie, i mantra: nascono dalla ripetizione.

Finiscono per perdere i legami con le parole e i concetti che li compongono e diventano suono, suono, suono, suono che fa da sottofondo al significato più profondo, a quel che in realtà davvero conta, al nucleo di quel che è e che - in questo caso - fu una Fine.

La mia litania solita in questo giorno recita così:

Il quattro dicembre è quel giorno che guardo arrivare come se stessi osservando un piatto che, accidentalmente, cade dal tavolo.
Lo vedo cadere al rallentatore, non posso fare nulla per cambiarne la traiettoria, per fermarlo, per far cessare la caduta.
E poi si infrange al suolo e, sempre al rallentatore, mille schegge saettano in tutte le direzioni, compresa quella che porta dritto al mio muscolo cardiaco.
Questa è la scheggia numero [...].

Improvvisamente oggi comprendo appieno il significato della scheggia diretta verso il mio cuore: è la scheggia che dice che non potrò mai essere felice in questa vita, è la scheggia che dice che il vuoto in continua espansione è la forza preponderante  che accompagna questo percorso, è la scheggia che dice chiaramente che certi moti terreni dell'animo (rabbia, livore, presunzione, desiderio di vendetta e compagnia bella) sono inutili, vani, e consumano e uccidono.

Recito dunque anche questo anno la mia litania, poiché la liturgia - questo tipo di liturgia - m'attrae e conto: scheggia numero 37.

Oh, be', sì... non sarò mai felice, ma conosco la gratitudine ed essa è di conforto.

Grazie, voi quattro, dunque: effimeri e solidi al tempo stesso, compagni del mio essere un nulla.

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