Sono nata in piena estate e dell'estate amo solo l'esserci nata, così come si ama un dato di fatto, per quanto si possa amare un dato di fatto.
Le mie recenti estati sono state - come dire? - problematiche; la scorsa estate poi... un delirio.
In questi giorni vivevo con la consapevolezza che erano gli ultimi giorni di mio padre, ogni risveglio da notti complicate portava con sé la domanda: "Succederà oggi?".
Avevo la costante impressione fisica di avere un robusto elastico che tiravo fino al limite per poi farmi da esso tirare indietro con violenza.
Tiravo tiravo tiravo e poi sbadabam: per terra. Che culate.
Questo fino alla mattina in cui egli divenne un de cuius e mi ritrovai a navigare in un oceano di sentirmi grande e sentirmi piccola contemporaneamente.
Sono ancora in quell'oceano, a chi voglio darla a bere... ma sono diventata molto più disinvolta.
A volte mi capita di cadere in meccanismi verbali/mentali che non riesco a modificare.
Tipo dire a mamma: "Saluta tutti.", mentre lei è sola sola sola.
Tipo essere a Londra e comporre QUEL numero di telefono per dirgli: "Ti ricordi di quella volta in cui ero a Londra e mi sono dimenticata di chiamarti per farti gli auguri di compleanno?"
Tipo fotografare le montagne e pensare: "Quando vado in campagna gli chiedo i nomi di tutte le cime: le conosce a memoria, le ha conquistate tutte."
Cose così.
Mentre ero in Irlanda ho fatto un sogno.
Ho sognato di essere in bici e di star trainando l'auto guidata da mio padre.
Ci scambiavamo, come eravamo soliti fare quando eravamo entrambi su questa terra, amorevoli epiteti, e anche se ero io a trainarlo - senza alcuna fatica - al tempo stesso era lui a spingermi.
Giunti ad un bivio, la corda che univa la sua auto alla mia bici rimaneva a terra, lui svoltava a sinistra, io proseguivo diritto.
Mi ritrovavo a quel punto in un seminterrato con le pareti bianche e tanta luce, insieme con un'ex collega che mi stava sulle gonadi come poche persone nella mia esistenza.
Ella mi raccontava del suo viaggio futuro e si appropinquava alla scala che conduceva al piano terra. Al termine della scala c'era un muretto da scavalcare con un salto: lei ci riusciva agilmente, il mio primo tentativo invece falliva.
Mentre mi preparavo ad effettuare un nuovo salto, notavo un armadio a due ante sulla mia sinistra: era laccato di verde acqua e dentro c'era qualcuno o qualcosa che cercava disperatamente di uscire.
Capivo che si trattava di una donna, senza sentirne la voce, e mi spaventavo. Mi spaventavo così tanto da mettermi ad urlare: "Aiuto! Aiuto!" e lo facevo anche uscendo dal sogno.
Più tardi, a mente mooolto fredda, ho capito che la donna imprigionata del sogno ero io e che ho un po' di remore a lasciarmi andare in questa esistenza di figlia a metà.
Ciò detto... sto contando i minuti che mi separano dalla gita allo stadio di domenica sera e non so perché. Ormai è diventata davvero una gita, andare allo stadio si è spogliato di tanti significati che mi accompagnano da quando ero bambina. Ci vado per inerzia e per una specie di amore che non so bene spiegare.
È un amore che occhieggia timido fra anfratti di rovine e chi sono io per metterlo a tacere? Nessuno, io non sono proprio nessuno. Anzi, no: sono una creatura ferita, come ferite sono quasi tutte le persone che si affannano intorno a me, che ha ancora voglia di futuro.
Questo mese di agosto, travagliato e difficile come il luglio che l'ha preceduto, va a finire tra poco.
Tra poco inizia il mese di cui amo il nome e in cui sono accadute cose belle e cose brutte: la nascita di mia figlia, la morte di mio padre.
Tra poco inizia il mese in cui arriva l'Autunno e tutto si fa più dolce.
Tra poco finisce Agosto e inizia Zeptember: che sia un mese facile (non lo sarà, ma pazienza).
Tra poco inizia Zeptember e arriverà un nuovo disco da cullare fra le braccia (The Complete BBC Sessions, siore e siore, COMPLETE).
Preferisco pensare a futuri belli.
Preferisco futuri belli.
Preferisco.
THE GIRL I LOVE SHE GOT LONG BLACK WAVY HAIR
(sono io: mi amo, LOL)