mercoledì 31 ottobre 2012

Il vento caldo dello stadio

La distanza non conta


... uh, quanti arretrati.
Non ce la farò mai.
Sagliets non vuole più sentirmi parlare delle Shetland, mannaggia a lui... oh, be’: appena lo incrocio gli parlo dell’Irlanda.
Lui è sempre così contento quando gli racconto dei miei viaggi in Irlanda: diventa tutto rosso e agita i pugni, proprio come un bimbo piccolo emozionato che ha davanti a sé un nuovo giocattolo. Sì, agita i pugni... che strano individuo. Vabbe’, ognuno ha le sue stranezze. Io, per esempio, volo. Soprattutto con il vento a favore...

… in place Briand a Lorient, davanti a FNAC, aspettando l’ora della cena. Che vento, quella sera.
Era un sabato. Il viaggio stava per finire.
Due giorni prima avevamo fatto sosta a Stratford (“Siamo nel Warwickshire, facciamo vedere la casa di Shakespeare ai bambini?”), poi ci eravamo diretti verso Dover.
Accidenti, lì finisce davvero l’Inghilterra, mannaggia... cioè: lì inizia, ma poi si deve: tornare a casa e allora si deve andare verso Dover e si deve prendere il traghetto e si deve stare lì, a guardare l’Inghilterra che si fa lontana, sempre più lontana... che male, che male... un po’ come quando il Toro gioca strano... e negli ultimi anni di Toro/Dover ce n’è stato parecchio e non ci voglio pensare, voglio avere fiducia, perché se perdo la fiducia io, il mondo dovrà fare a meno dei bicchieri e sarà un problema.
Sì, un gran problema.

... non ce la farò mai. Dove sono finiti i Post-it? Eccoli. “Parlare del concetto di CASA”. Mo’ dove lo attacco? Idea geniale: su un pugno di Sagliets! Se solo stesse fermo per un momento...

Appena messe le ruote in Francia, abbiam pensato di dirigerci verso Strasburgo, ma è successa una cosa strana: l’auto non ne ha voluto sapere. Ha fatto una pernacchia e si è diretta verso Ovest.
D’altra parte si sa: the West is the best (rif. “The End”, The Doors, 1967).
“OK...”, Abbiamo sospirato tutti in coro.
“Bretagna sia anche quest’anno! Kenavò!” Abbiamo esclamato, sempre tutti in coro, prima di improvvisare una gavotte nel porto di Calais.
La notte ci ha sorpresi... no, un momento: sapevamo che sarebbe calata la notte, ma la settimana lassù a Nord ci aveva imbevuti di un concetto differente relativo alla quantità di ore diurne e notturne... comunque la notte ci ha sorpresi in un posto sperduto della Normandia: Torigni-sur-Vire.
TORigni-sur-Vire.
Guarda il caso, a volte... buona notte.

Il giorno dopo è stata Bretagna, è stato Morbihan (ma qant’è bello il Morbihan, tanto tanto tanto).
Il viaggio stava per finire: tanto valeva godere gli ultimi momenti di oceano.

Nelle due settimane passate non avevo incontrato nessuna traccia di Toro, se non sulla mia faccia quando mi capitava di passare davanti ad uno specchio, ma la sensazione - spesso e poco volentieri - era quella di essere l’unica pirla sulla Terra a dire Toroqui, Torolà, Torosu, Torogiù.
Era la prima volta che mi accadeva, in tanti anni di vagabondaggio.
Il destino, però, voleva che incontrassi il Toro in place Briand, appunto, a Lorient.
Un incontro per nulla convenzionale, pur sempre un incontro: l’unico tipo di sorpresa che amo.

C’era un vento che mi portava via, i riccioli erano oltremodo agitati, avevo perfino un po’ freddo, fame, sonno, nostalgia e il Toro stava per giocare contro il Lecce. Milleduecento chilometri fra il Toro e me.
Sigh.
Ho provato a chiudere gli occhi e a fare esercizio di fantasia per provare ad essere allo stadio.
Niente da fare: quel vento, con il favore delle palpebre abbassate, rievocava altro. Scogliere scozzesi, colline inglesi, spiagge bretoni, prati irlandesi. Ho aperto gli occhi: place Briand, Lorient.
Ufffff.
Ho richiuso gli occhi, mi sono concentrata di più, di più, di più, di... pummmmmmmmmm!!! “What the...???”, ho detto a mezza voce. L’inequivocabile suono angelico di una bomba carta.
“Hey, però... sto diventando brava con le visualizzazioni... le faccio con il soundtrack!” E poi ho visto i fumogeni.
Ho aggrottato le sopracciglia, tirato indietro le orecchie a punta (quando sono da quelle parti ho le orecchie a punta... no, non sono orecchie vulcaniane, sono da elfo), aguzzato lo sguardo: indubbiamente stavo vedendo qualcosa di conosciuto.
Qualche undicina di giovani e meno giovani che si dirigevano verso... lo stadio di Lorient.
“Ca§§o, oggi c’è Lorient-Montpellier!” ho esclamato. “Bambini, bambini! Sapete che il Montpellier ha vinto lo scorso campionato in Francia? Mi sa che sarà una serata difficile per il Lorient... che voglia di stadio... e come ca§§o faccio a seguire la partita del Toro? Oh, come sono triste! Oh, me sventurata! Oh, che roba difficile essere del Toro!”
Due secondi dopo ero avvolta in un groviglio di abbracci di bambini... oh be’, di una bambina e di un... gulp... ragazzo. Sì, mio figlio non è più un bambino. È... sta diventando grande. Che bella creatura. Che belle creature. Quasi come il Toro: roba forte, roba unica, tanta roba.

… devo ricordarmi di aggiungere che il Lorient quella sera ha vinto, ma non adesso, non adesso... Uh! Sto avendo un dejà-vu! Che storia! Devo parlarne subito con Sagliets... appena smette di agitare i pugni provvedo...

Dopo la cena ci siamo messi in auto per tornare verso casa e, mentre rimuginavo sulla mia voglia di stadio, mi è venuto in mente che avrei potuto seguire la partita su Twitter.
Certo, ottima idea.
Peccato per la (s)connessione.
Grrrrrrrrrrrrrrrr.

Cercando di annegare il dispiacere in un bicchiere di sidro, mi contorco come una tarantola sulla sedia del dehors della solita crêperie e... Twitter (insieme con l’sms della Stefi) mi annuncia che abbiamo segnato.
La cameriera è appena giunta al nostro tavolo ed io grido “Sgrrrrrrrrrrrrrrrrrignaaaaaaaaaaaaaa!” Lei si spaventa, appoggia i bicchieri sul tavolo e fugge ululando qualcosa del tipo “Sono pazzi, sono pazzi!”
Decidiamo dunque di appropinquarci ulteriormente verso casa.
Quest'anno ci è andata di lusso: siamo in una casupola in pietra, un vecchio magazzino per gli attrezzi riattato, e davanti è tutto prato.
Che bel prato.
Mi piace molto.
MA: non c’è rete.
Porco miserio.
Nessun segnale.
Campo? Sì, di mais. Sulla destra. A sinistra s’ode un pianto sommesso e grugniti di porcomiserioporcomierioporcomiserio.

Non mi lascio scoraggiare e, dopo vari tentativi, mi rendo conto che rimanendo seduta ed immobile su una sedia davanti alla porta di casa, tenendo le gambe accavallate, sbattendo le palpebre con ritmo regolare, respirando il giusto per mantenermi in vita... be’, ogni tanto riesco ad aggiornare Twitter.
Sai che figata rientrare in casa per fare il Venneri del caso, ritornare sulla sedia e dover ripristinare le condizioni favorevoli di cui prima?
Un delirio.

Al terzo gol ho detto “Ebbbbastamo’!”, ma intanto pensavo “Ancora! Ancora!”, stando attenta a non starnutire (l’umidità notturna Bretone è letale).
E poi la partita è finita e il Toro aveva vinto e io, io, io... avevo vinto anch’io.
Figuriamoci se mi faccio fermare dalla connessione ballerina e dall’umidità e dagli insetti notturni e dalla nebbiolina che saliva lenta, sotto certi punti di vista perfino lugubre, sotto altri meravigliosamente adatta e perfetta.
Perfino la giuve mi sarebbe sembrata perfetta... no, un momento: datti una calmata, figliuola, e riformula... perfino certi piccoli fastidi della vita, i fastidi inevitabili, i fastidi noiosi, i fastidi da “ma che Razzo vuoi da me?”, mi sarebbero sembrati perfetti.
Ero in Bretagna, con le persone con cui volevo essere, il Toro aveva vinto e le stelle... oh, erano tante e - evviva evviva – vere.

… non ce la farò mai. Anzi no: ce la faccio. O forse no. Chissenefrega. C’è chi insiste con Meggiorini, quindi io posso creare un universo con uno schiocco di dita... ou, Meggiorini, nulla di personale, sia chiaro. D’altra parte sono una femminuccia e non capisco nulla di calcio.
Vado a rammendare calzini e a temperare la matita: se voglio che infilzi più di un’ipotetica spada, è bene che sia molto appuntita.



Questa settimana tocca a “I Am the Walrus” (Magical Mistery Tour, 1967, The Beatles):  una delle canzoni più immaginifiche che siano mai venute al mondo.





Dedico “I Am the Walrus” a chi, non possedendo sufficiente eloquenza e contestualmente ritenendosi superiore a chiunque, quando parla raglia di presunzione (disclaimer: non sto parlando di me. Grazie al Fato, non sono tormentata da ossessioni di alcun genere). Goo-goo-ga-joob!




mercoledì 24 ottobre 2012

60° Parallelo Nord

Ho portato il Toro in Europa



Oddea.
Io non mi ricordo più.
Non ricordo più come si fa a scrivere.
Se riuscissi a concentrarmi un po’... ma come faccio con tutto il chiasso che fa Sagliets? Chiude le scatole, apre le scatole, rompe le scatole... insopportabile, davvero. Uno di questi giorni mi vendicherò. Gli conviene iniziare a tremare...
Cavoli, chi è quel tomo che vedo in fondo al corridoio? Uh, come trema: dev’essere Sagliets.
“Heilà, tonto, com’è?” gli urlo.
“Vuoi smettere di far vorticare i capelli? Fa un freddo cane!” risponde con la gentilezza che lo contraddistingue.
“Hey, Sagliets, tu non sai che cosa vuol dire la parola freddo... io invece... ti ho mai raccontato di quella volta in cui sono andata alle Shetland?”
“Quarantanove volte...”
“Cinquanta: siamo partiti la domenica mattina...”
“Ossssssignur...”


Sì, siamo partiti la domenica mattina, era ancora buio e la sera stessa, prima dell’imbrunire, facevamo tappa dormitoria in Inghilterra, nel Kent.
Il lunedì abbiamo macinato chilometri sulla M6 fino ad arrivare ad Abington, Lanarkshire, Scozia.
Il martedì abbiamo fatto tappa a Forfar, Angus, sempre Scozia e poi... Aberdeen.

Aspettando di salire sul traghetto, ho camminato sotto la pioggia, ascoltando “The Rain Song”, lacrimando un po’.
Aberdeen: la chiusura di un cerchio.
C’era una volta mio Nonno Giulio e poi non c’era più e la sera il Toro sembrava perdesse due a zero contro l’Aberdeen e invece no: tre a due, riposa in pace Nonno, forza Toro.
Alzando gli occhi al cielo quasi mi sono stupita di non vedere nessuna Bandiera del Toro sventolare nei dintorni... strana gente, gli Scozzesi... anche io. Un po’. Tanto. Boh.
Poi è arrivata l’ora di imbarcarci e... e alle 23 abbiamo fatto scalo alle Orcadi: le ho guardate e le ho viste. Nel buio. Meraviglia.
Mi sono infine addormentata. Giulia teneva fra le braccia il suo cane di pezza, Davide il Nintendo, io... lo zainetto Granata. Dentro allo zainetto: la Bandiera. Ronf, zzzzzzzzzzzzzz...
L’alba del mercoledì è sorta con le Shetland a due passi.
“Ca§§o, ce l’abbiamo fatta!” [click click click: alla fine del viaggio le foto sarebbero state fra le tante e le forsetroppe]
Sbarcati a Lerwick, sistemati in quella che sarebbe stata la nostra casa per una settimana, mi sono persa a guardare quel cielo grigio e, al primo alito di vento, ho pensato: “Sì, questo è un buon posto per far sventolare la Bandiera del Toro.”

Raccontare le Shetland è complesso come raccontare una serie di sentimenti: li tengo per me, sia i sentimenti sia le Shetland.
Raccontare quanto mi sia sentita idiota in un particolare frangente, però, è piuttosto facile.
Facile e liberatorio ed anche motivo d’orgoglio perché ho avuto una deliziosa rivincita sulla mia personale idiozia e dunque la pace si è sparsa pel mondo (il mio mondo).

C’era quella strada, la A970, che percorrevamo nei giorni in cui andavamo verso Sud.
Ormai la conoscevamo a memoria.
E sempre vedevo quel piccolo cartello giallo con scritta nera: 60° N.
“Che cosa vorrà dire?” Mi chiedevo ad ogni passaggio e poi me ne dimenticavo.
Infine ho capito.
L’ho capito l’ultimo giorno.
Che idiota.

60° parallelo Nord.
Urca.
“Hai presente quel coso giallo e nero che non è un’ape, ma un cartello piccolo? Quello sulla strada per Sumburgh? Andiamoci.”
Ovviamente il cartello si è nascosto... infatti siamo misteriosamente finiti a Scalloway senza volerci andare.
Abbiamo rifatto la strada, ero un po’ sconsolata, e... l’ho visto.

“Fermati! Fermati! Fermati! Lì! Dove c’è quel coso giallo e nero!”
“Che cos’è?”
“Oh, una sciocchezza... [tentando di dissimulare la gioia] Quel numerillo significa che siamo al 60° parallelo Nord... siamo arrivati piuttosto in alto, non trovi? Andiamo, su.”
Un attimo di silenzio.
“Vuoi fare una foto con la Bandiera del Toro?”
“Mmmm... no, non importa... ca§§o, sìììììììììììììììììììììììììììì! Prendi tutte le macchine fotografiche e anche i cellulari! Bambini, restate in auto! Fiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiichissimo!”
Che orgoglio.

E fu così che portai la Bandiera del Toro al 60° Parallelo Nord.

In quei momenti, in quei momenti in cui la stringevo forte per paura che volasse via, io stringevo forte tutto il Toro.
Era come stringere fra le mani un mondo infinito e, quindi, essere infinita pure io.
Essere infinita come una pagina i cui confini sono solo nella mente di chi ha perso la voglia di sognare.
Stringevo fra le mani il mio mondo Granata e abbracciavo idealmente tutti: buoni, cattivi, cosìcosì, stron§i, meraviglie, tutti. Abbracciavo anche me. Dea mia, che sensazione di pace.
Pace.
Silenzio.
Consapevolezza.
Soprattutto pace.
Come essere una pagina vuota.
Una pagina infinita.

A proposito di pagina infinita... in realtà questa rubrica doveva intitolarsi “Infinite Page” ed essere un tributo settimanale a Jimmy - appunto - Page.
Poi ho cambiato idea e allora eccomi qui.

Io ci proverò.
Proverò a raccontare il Toro come mi accadeva di fare in passato in un altro luogo.
Io proverò a raccontare il Toro.
Con tutta l’emozione e la fatica che ciò comporta.
Sì, ci proverò.
Sperando che Sagliets, intanto, finisca di fare tutto ‘sto baccano: non se ne può proprio più...




È bello ritrovarvi, Sorelle e Fratelli, è bello poter condividere qualcosa di nostro insieme.
Ho aderito al progetto di [testata su cui scrivevo] mentre stava crescendo nelle menti e sotto le mani di chi gli ha dato vita: grande stima per le Madri e i Padri di questa testata, grande stima.
Grande emozione veder crescere un’idea, assomiglia tanto a veder crescere un essere umano: ogni caduta è un invito a non mollare, ogni conquista è un sorriso in più.
Forza Toro sempre, néh?
Alla prossima.

Uh, quasi dimenticavo... mi permetterò di darvi un consiglio musicale al fondo di ogni mio scritto.
Iniziamo con “The Rain Song” (Houses of the Holy, 1973, Led Zeppelin):



Ho scelto la versione del 1994, quella che io chiamo "The Rain Song della Maturità": raccoglie tutti i significati e le emozioni di chi ero e di chi sono diventata.

Dedico “The Rain Song” alla mia Amica Lulù e a ciò che abbiamo condiviso: vola in alto, Lulù, e grazie per sempre.