mercoledì 26 febbraio 2014

Il karma dei capelli

Protagonisti:
- un adolescente, MOLTO razionale, che da settimane progetta di andare a tagliarsi i capelli ma
- la sua di lui madre, MOLTO New Age e Hippy, fa orecchie da mercante perché quei riccioloni sono una meraviglia

Passeggiando verso casa, qualche giorno prima di domenica 23 febbraio.

Figlio - Mamma?
Madre - Dimmi, ciccio.
Figlio - Stavo pensando al karma.
Madre - Uh! Che combinazione! Io stavo pensando al MI maggiore!
Figlio - E che cosa c'entra?
Madre - Niente. Un po' come te e i discorsi sul karma... hai voglia di mettermi a parte delle tue riflessioni?
Figlio - Sì. Stavo pensando che l'ultima volta in cui mi sono tagliato i capelli era ben prima del derby di andata...
Madre - E?
Figlio - ... e allora il cespuglio che ho sul cranio adesso ha sicuramente assorbito il karma negativo di quella partita.
Madre - Santa Dea, ciccio... forse ho capito dove vuoi arrivare: vai avanti...
Figlio - Per la legge di compensazione ora - presentandosi di nuovo un derby - il karma dovrebbe restituire energia positiva.
Madre - Uhm... non funziona proprio così ma...
Figlio - Ma ho deciso che taglierò i capelli dopo il derby di ritorno.
Madre - Va bene, ciccio, ma se non andrà come vorresti che vada, non venirmi a dire che il karma è una boiata.
Figlio - Mai mi permetterei: razionale sì, irrispettoso mai... nei limiti consentiti dalla mia Bestia (*)
Madre - D'accordo: affare fatto. E ti prometto che anche io terrò a bada la mia Bestia... mi fa strano sentirti parlare di karma, sai?
Figlio - Fa strano anche a me! In ogni caso... speriamo, dai.
Madre - Sì, ciccio. Ti voglio bene.
Figlio - Anche io!

Il derby di ritorno è andato, tra poco se ne andranno anche quei riccioloni, ma poi torneranno, tornerà anche il derby, torneranno tutte le speranze et cetera.
Domenica sera ho avuto l'ennesima conferma che VIVA LE DIFFERENZE è il motto più giusto che potessi scegliere per vivere in piena consapevolezza del mio valore.
Le differenze arricchiscono, arricchiscono sempre anche quando sono privative.
Io so di essere differente dagli idioti che hanno issato quegli striscioni disgustosi, il fatto di NON essere come loro è una luce che illumina 'sta lunga notte.
Non voglio spendere più una singola stilla di energia vitale ad incazzarmi per il derby di tre giorni fa: ho promesso a mio figlio di lasciar dormire la mia Bestia, non posso venire meno a questa promessa.
Forza Toro, néh?

(*) La Bestia è il nervoso quasi incontrollabile che ogni tanto si impadronisce tanto di me quanto di mio figlio. Mia madre, quando ero piccina, talvolta mi chiamava Tantarabbia n. 2 (il primo Tantarabbia è mio padre).
Mio figlio è Tantarabbia n. 4 (il n. 3 è il mio adorato nipote). Solo quando è arrivato Tantarabbia n. 4, mamma ha capito che eravamo come eravamo e che anche questa differenza poteva essere un arricchimento. Quando ho visto comparire i primi segni della Bestia in mio figlio, qualche anno fa quando era ancora alle elementari, l'ho portato a fare una passeggiata e gli ho detto che sapevo come si sentiva, che sapevo che cosa volesse dire sentirsi agitare dentro quella "cosa", che sapevo che non era una sensazione piacevole, che l'unico modo per tenerla sotto controllo era... volerle bene, rivolgendosi ad essa con dolcezza e dicendogli qualcosa che potesse placarla. Dopo qualche giorno quel bambino dagli occhi grandi era venuto a dirmi che aveva sentito la Bestia che si svegliava dentro di lui e le aveva cantato una ninna nanna. Mi aveva anche detto che forse la Bestia aveva solo paura di stare al buio e che dormendo non avrebbe più visto il buio e magari avrebbe sognato la luce. Le nostre Bestie, tutto sommato, non sono malaccio.



Love is the answer and you know that for sure
Love is a flower, you got to let it, you got to let it grow

L'amore è la risposta e lo sai di sicuro
L'amore è un fiore, devi lasciarlo, devi lasciarlo crescere

lunedì 24 febbraio 2014

Physical Graffiti, 24 febbraio 1975

Buon compleanno numero trentanove, Meraviglia del Creato.

Questo vinile mi insegnò che, talvolta, il mondo è anche ciò che si trova al di là delle finestre ma verso l'interno.

La meraviglia delle meraviglie è che quando si è dentro a 'In My Time of Dying' si gode di brutto e ancora non si sa, non lo si sa neppure al milionesimo ascolto, che devono ancora arrivare 'Kashmir', 'Bron-Yr-Aur' e 'Ten Years Gone' (per dirne tre a caso)... 


Le tracce:

Lato Uno- Custard Pie
- The Rover
- In My Time of Dying
Lato Due- Houses of the Holy
- Trampled Under Foot
- Kashmir
Lato Tre- In the Light
- Bron-Yr-Aur
- Down by the Seaside
- Ten Years Gone
Lato Quattro- Night Flight
- The Wanton Song
- Boogie with Stu
- Black Country Woman
- Sick Again



Postilla
Ieri abbiamo vinto il derby. Proprio così. Ah... abbiamo perso? Accidenti... ma almeno ci hanno dato un rigore a favore, no? Neppure quello? Santaddea... e come mi sento? Non lo so, sinceramente non lo so. Forza Toro sempre, indosso le cuffie e via: mi perdo nella Musica ancora una volta... tanto ritrovo sempre la strada per tornare a casa: quella strada sono io (nonostante e grazie alle lacrime e alla rabbia e agli anni che passano e... Musica, dai).






domenica 23 febbraio 2014

Il tempo (passa)

Dialogo post Verona e pre Venaria, per ingannare il tempo.


Granata X
Ieri finita la partita ho detto a Pinco Pallino: "Adesso possiamo ufficialmente iniziare a cagarci addosso."
Eppure quella roba che vibra sotto la pelle quando il Toro vince (e vince cosi) urlava: "Minchia, gli leviamo le strisce bianche con un bisturi e li facciamo neri."
Piu ragionevolmente il mio sogno è semplicemente quello di fare almeno un goal. 
Ma anche di massacrarli.
Oppure fargli due goal di cui uno in fuorigioco e uno su rigore.
Oppure asfaltarli.
AMO la schizofrenia dell'essere granata.
Sperando di arrivare viv* a domenica perché mi sto già goduriosamente consumando di sogno.
SFT


Granata Y
Guarda, io non so cosa pensare.
Però arrivare al derby così è stupendo, per due-tre giorni l'adrenalina mi farà dimenticare che mi sto per cagare addosso anche io.
Sarebbe troppo bello e, per il guano mangiato in questi decenni, sarebbe anche giusto.
Ce lo meriteremmo.
Unirebbe.
Saremmo felici.
Abbiamo una possibilità su mille, spero che diano tutto per aggrapparsi a quella.
SFT



E l'ora si avvicina...




sabato 22 febbraio 2014

L'incontro

Sul pianerottolo.

Usciamo di casa in contemporanea il Professore ed io.

Ci guardiamo.

Sono la prima a favellare.

- Buongiorno, Professore! Stia zitto, eh?

- Buongiorno! Grazie per l'altra sera!

- Prego, si figuri, ma... per cosa?

- Lei lo sa, io non guardo mai le partite del Toro: mi vengono le palpitazioni. Sono andato a letto e, ad un certo punto, è entrata mia moglie in camera e mi ha detto: "Ti porto buone notizie: ha segnato Immobile! La vicina sta ancora gridando per tutta la casa!"

- Ossantaddea... mi scusi, Professore... non riesco proprio a trattenermi quando si tratta del Toro [arrossisco]

- Ma no! Ma no! Ormai il codice è chiaro: se lei urla "Ma cazzo!" vuol dire che hanno segnato gli altri, altrimenti... altrimenti sorrido e agito un pugno verso l'alto.

- Però sappia che domani pomeriggio non potrà contare su di me...

- Va a Venaria?

- Ma per carità! No, no, vado a vederla fuori casa, con qualche centinaio di altri innamorati. 

- Mi mancherà.

- Anche lei.

- Forza Toro.

- Sempre.

Ci guardiamo di nuovo e ci diciamo molto altro, molto di più.

Lui non è il Professore, io non sono una vecchia carampana: siamo solo due innamorati di quel colore, di quel colore là, del colore più bello del mondo e - silenziosamente - ci avviamo ognuno per la propria strada sperando che il prossimo incontro ci veda increduli e orgogliosi.

N.B. Orgogliosi lo saremo comunque. Preghiamo per l'incredulità: amen.

giovedì 20 febbraio 2014

L'attesa

Al bar.

Il barista gobbo si rivolge alla barista a cui non frega nulla di Toro, giuve et cetera: "Ou, alla Silvia non ci devi rivolgere la parola nella settimana prima del derby!"

La Silvia si rivolge al barista gobbo: "Veramente tu dovresti sempre tacere. A prescindere."

Il barista gobbo non capisce (e vabbe', che pretese...) e raglia ulteriormente: "Minchia, ou, sei tremenda."

La Silvia abbozza: "Quattromenda."

Il barista gobbo si sganascia dal ridere: "Ou, sei troppo forte! Peccato che sei del Toro!"

La Silvia pensa: "Giove, fulminalo. Qui e ora." Ma dice: "Ma smettila, piciu..." Sorride e se ne va.

Non ci saranno più i Granata di una volta, ma neppure i gobbi sono in piena salute.

Inganno l'attesa con la noia, ma... è ancora lunga.

Dannazione.

mercoledì 19 febbraio 2014

La fatica

Oggi al lavoro tutti - TUTTI - si sono complimentati, aggiungendo altro che sai e che non posso dire. Che fatica esser contenti... ma è più che esser contenti, è altro: è potersi finalmente riconoscere nelle proprie radici...








Questo mi scriveva la Stefi ieri via SMS, dopo la notte successiva a Verona-Toro.
Aveva il cuore contento, come me.
È bello avere il cuore contento.
Forza Toro, néh?

martedì 11 febbraio 2014

Tira fuori la scimitarra!

In memoria di Ado: Amico, Artista, Granata.
Ado che ha chiuso gli occhi il dodici febbraio duemiladodici, due anni domani.
Ado, ancora adesso - e sarà così finché avrò vita - quando sono un po' giù di morale e di forze, ripenso alla frase che mi scrivevi abitualmente quando mi sentivi (e sapevi leggermi TANTO bene) un po' 'pasticciata': "Tira fuori la scimitarra, Silvia! Tira fuori la scimitarra!"

Per me era semplicemente Ado, per il resto del mondo era Ado Zung: pittore, scultore, fotografo, grande anima.
Mi manca e mi mancherà sempre.
Aveva amato una cosina che avevo scritto e che desidero (ri)pubblicare, si intitolava "Toro, fantasmi e formaggini."
Ciao, Ado, io sto con il naso in su e quando vedo certi tramonti SO che c'è il tuo zampino: GRAZIE.

/

Toro, fantasmi e formaggini

Erano entrati di soppiatto, una notte, armati dell'incoscienza e dell'agilità della gioventù.
Nell’oscurità, avrebbero scoperto che il tempo non esiste e che i sogni possono diventare reali.
Da quel momento, non avrebbero più smesso di credere.


Non era stato facile scavalcare i muri diroccati e, a dirla tutta, avevano paura che qualcuno li vedesse e non capisse il motivo di quella follia.
La follia, d'altra parte, non è così facile da spiegare.
Come due gatti che decidono di vedere il mondo dall'alto, si erano arrampicati sui muri e, giunti in cima, si erano stupiti di quanto fosse stato facile.
Rimasero a guardare i palazzi lì intorno, come sul punto di fare una scelta e poi... la fecero: decisero di buttarsi dall'altra parte.
Atterrare sull'erba non evitò loro di cadere malamente; si guardarono a lungo negli occhi prima di prendersi reciprocamente a male parole.
«Ma porc... non riusciremo ad uscire di qui, lo sai?» disse Erminia.
«Non dire asinate... faremo il percorso al contrario, non vedo dove stia il problema...» replicò Eugenio.
«Il problema sta nell'asfalto: ci spaccheremo le gambe!» strillò lei.
«Ma smettila... andiamo là in mezzo?» disse lui.
«Tu sei fuori... andiamo via prima che...» sibilò lei.
Un fruscìo fra i ruderi li mise a tacere e li fece sobbalzare.
Erminia sussurrò: «Che cos'era? Un fantasma?»
Eugenio esclamò: «Sì... il Fantasma Formaggino!»


«La sai quella del Fantasma Formaggino?» disse Eugenio.
«Vieni qua che ti spalmo sul panino!» rispose Erminia.
E giù a ridere a crepapelle.
Si erano conosciuti quando, ancora troppo piccoli per guardare direttamente negli occhi gli adulti, si ritrovavano aggrappati alla rete metallica che circondava il campo.
Quella rete a rombi era gelida d'inverno e incandescente in primavera: loro, immancabilmente, si aggrappavano ad essa con le dita, incuranti del caldo o del freddo.
Ciò che gli interessava era vedere i disegni imprevedibili che quei piedi intrecciavano sull'erba o per aria, facendo viaggiare il pallone dall'uno all'altro giocatore.
E quando la palla entrava in rete, lanciavano le braccia in aria per festeggiare e poi abbracciarsi, proprio come facevano i 'grandi' allo stadio.
Poco importava che ciò accadesse di giovedì e non di domenica, poco importava che si trattasse della partitella e non della partita, poco importava che fosse il campo d'allenamento e non quello delle partite ufficiali.
Che poi... loro sapevano bene che quello, un tempo, era stato IL Campo: erano imbevuti di Toro.
I 'grandi' li portavano lì per condividere anticipazioni di quello che sarebbe accaduto la domenica e per continuare a raccontar loro le storie del passato, anche se i due bambini... oh be', Erminia ed Eugenio volevano crescere in fretta per andare allo stadio per conto loro, magari in mezzo a quelli che suonavano i tamburi e avevano le bandiere più grandi degli altri.
Le prime volte non avevano fatto caso di essere entrambi piccoli, non si erano manco guardati in faccia.


«Sei un cretino!»
«E tu sei scema!»
La discussione venne interrotta da un suono noto, un suono che faceva parte del loro vissuto, di tutte le volte in cui erano andati lì per vederli giocare.
«Hai sentito?»
«Cavoli, sì... zitta!»
Era l'inequivocabile suono dei tacchetti su per la scala che dagli spogliatoi portava al campo.
Non furono sorpresi dall'illogicità di quel suono, bensì dall'avere conferma di ciò che avevano sempre sostenuto: i Ragazzi non erano mai andati via di lì.
Fu a quel punto che li videro e smisero di respirare per alcuni secondi.


«Non voglio più venire qui.» disse Eugenio.
«Perché?» chiese Erminia.
«Perché qui succedono cose strane, ma non mi credono.» disse lui.
«Ah. Allora...» disse lei
«Allora cosa?» chiese lui.
«Niente. Io ti credo: qui succedono davvero cose strane...» rispose lei.
«Che cos'hai visto?»
«Dillo prima tu.»
«No, prima tu.»
«No, facciamo così: contiamo fino a tre e poi lo diciamo insieme, sei d'accordo?»
«Okay. Uno... due... tre!»
«FANTASMI!»
La pelle d'oca, alta un centimetro, li zittì.


«Vedi anche tu quello che vedo io?»
«Se tu stai vedendo Gabetto, la risposta è sì...»
«Guarda! Bacigalupo!»
«Capitan Valentino!»
«Maroso!»
Snocciolarono ad uno ad uno i nomi del loro personale rosario Granata, l’avevano imparato dai 'grandi' ancora prima dell'alfabeto.
Ed ebbero la conferma che i fantasmi di cui parlavano quando erano piccoli, esistevano davvero e non facevano affatto paura.
Istintivamente e contemporaneamente, sollevarono le mani per aggrapparsi alla rete, proprio come facevano quando erano bambini, quella rete che avevano visto divelta dalle ruspe.
La rete era di nuovo lì, sotto le loro dita, e le rovine erano tornate ad essere IL Campo in cui avevano trascorso tanti giovedì pomeriggio.
Entrambi non riuscirono a trattenere un singhiozzo di gioia e fu quello il momento in cui Bacigalupo li guardò, fece un cenno col capo a Castigliano, che lanciò il pallone verso Mazzola.
Il Capitano colpì il pallone facendolo saettare con potenza inaudita fino...


... a farlo cozzare con violenza sulla porzione di rete di cui i due bambini sembravano essere i pali.
SDENNNNG!
La botta aveva fatto tremare così forte il metallo, che i due avevano urlato per lo spavento e un po' per il dolore alle dita.
I 'grandi' avevano riso sonoramente e loro li avevano guardati con odio, con quell'odio che ha ancora un senso di esistere quando si è piccoli.
Fu in quel momento che si accorsero della reciproca esistenza.
«Ti sei fatta male?»
«No, mi sono solo spaventata.»
«Anche io e poi...»
«E poi non c'è niente da ridere, vero?»
«Già! Tu che classe fai?»
«Io faccio la terza e tu?»
«Io sono in quinta: quest'autunno andrò alle medie! E mi chiamo Eugenio.»
«Cavoli, sei grande, tu! Io mi chiamo Erminia.»
«Hai visto che tiro?»
«Madoi...»
Ed erano tornati ad avvolgere i fili metallici con le dita.


Si presero per mano e rimasero ancora una volta a bocca aperta: Loik li stava invitando ad entrare.
Lo fecero e si sedettero a bordo campo a guardarli giocare.
Dopo un po' gli si fece vicino il Capitano.
«Grazie per tenerci in vita...» disse loro.
«Cosa?» risposero nello stesso momento, quasi balbettando.
«I vostri pensieri, il vostro ricordo, i vostri silenzi, le vostre esultanze... ci tengono in vita. Noi non possiamo uscire da qui, ma – tutto sommato - non è un male. Il vero male è non credere ai sogni. Il nostro sogno è rimasto appeso al fianco di una collina e rimane lì, sempre in bilico, pronto a precipitare ancora ed ancora ed ancora, come è successo a noi...»
Erminia chiese: «Ma... tu... ti sei accorto che...»
Il Capitano rispose: «Se mi sono accorto che stava finendo tutto? No. Se proprio lo vuoi sapere... eravamo sull'aereo e poi ci siamo ritrovati qui. Abbiamo capito che non ne saremmo più usciti, ma almeno... almeno abbiamo un posto in cui stare...»
Si fece avanti Eugenio: «E come mai... come mai noi... vi vediamo? E perché sembra che le ruspe non siano mai passate di qui?»
Proseguì il Capitano: «Perché... non lo so. Ogni tanto succede... ogni tanto succede che qualcuno ci veda e allora... allora facciamo quello che facevamo in campo: una magia. Il Filadelfia torna a vivere e noi con esso. Non è facile, ma...»
«Anche entrare qui non è stato facile» disse Eugenio.
«E sarà impossibile uscirne...» aggiunse Erminia.
Il Capitano sospirò e poi, con voce ferma, disse loro: «No, ascoltatemi: state parlando del Fila, state parlando della nostra e vostra Casa... non di una prigione. Fate conto che sia il cuore di un grande organismo... anzi: ascoltate. Sentite le vibrazioni del suo battito? Seguite quel ritmo, seguitelo sempre: è lo stesso ritmo dei vostri sogni, quelli che ci permettono di... continuare a vivere.»


«E poi ho sentito dire... che lo butteranno giù...» digrignò Eugenio.
«Anche io... l'ho letto sui giornali...» sospirò Erminia.
«Meglio andarsene finché è ancora tutto intero e...» aggiunse lui.
«Non si può fare proprio nulla?» chiese lei.
Eugenio, torvo, le disse: «Ti ricordi quella volta in cui il pallone ci aveva quasi colpiti? Ti ricordi quanto ridevano i 'grandi'? Be'... penso che quelli che vogliono buttarlo giù, se la staranno ridendo...»
Erminia, smarrita, gli chiese: «Ma... e i fantasmi?»
Eugenio disse: «Facciamo un patto: fra qualche anno entreremo qui dentro, li cercheremo e li troveremo. Senza i 'grandi' fra i piedi sarà più facile.»
Erminia non si lasciò cogliere alla sprovvista: «Okay. Quando?»
«Quando tutto sarà perduto...» disse lui.
«... e quando tutto potrà di nuovo avere inizio.» aggiunse lei.
«Come sei filosofica, oggi...»
«Sai che novità...»


«La vita», proseguì il Capitano, «ha bisogno di continue novità per essere degna di essere vissuta. Non importa che si tratti di cose belle o cose brutte: novità. Cose nuove con un pizzico di abitudine. Vedete? Io sto per tirarmi su le maniche e i miei compagni sanno esattamente che cosa significa. E tutti insieme sappiamo che ciò che nascerà da questo piccolo gesto abituale sarà qualcosa di nuovo, di totalmente nuovo. E' chiaro, ragazzi?»
«Sì, Capitano...»
«Chiamatemi Valentino», disse ridendo, «qui siamo solo parti di quel cuore. Loro, tu, anche tu, io. E quanto a te... perché dici che sarà impossibile uscire?»
«Perché a momenti ci fracassavamo le ossa saltando giù dal muro!» rispose Erminia.
«Mi sembrate ancora piuttosto interi!» replicò ridendo il Capitano, «Ascoltatemi: volete uscire di qui? Guardatevi intorno e troverete la via.»
I ragazzi si voltarono verso le gradinate e si accorsero che non c'erano più, tutto stava tornando com'era nel momento in cui avevano dato inizio alla loro impresa.
Sui gradini d'angolo, si distinguevano due figure.
«Ma quelli... quelli siamo noi! Siamo noi e tu mi stai chiedendo se so la barzelletta del Fantasma Formaggino! No, aspetta! Siamo sempre noi, ma mi stai dicendo che butteranno giù il Fila! E guarda là!» esclamò Erminia.
«Siamo noi, noi che scavalchiamo il muro per entrare qui dentro...» disse Eugenio.
«Guarda! Guarda là! Guarda il portone! E' aperto... non potevamo passare di lì per entrare?» chiese Erminia.
«Sarebbe stato troppo facile» disse il Capitano, con una smorfia triste.
«Già... per la serie che per noi è sempre tutto difficile, no?» chiese Eugenio.
«E per la serie che il Toro è una conquista. Che gusto ci sarebbe...» aggiunse Erminia.


«Che buoni ‘sti panini! Hanno un gusto che… uh, hai già finito il tuo: vuoi un pezzo del mio?» disse Erminia.
«No, grazie… farò il pieno domenica allo stadio: mi porto sempre due panini con i formaggini e poi rimango lì a morire di sete!» esclamò Eugenio.
Non riuscivano mai ad incontrarsi allo stadio perché i 'grandi' si posizionavano in zone diverse dei distinti, però sapevano che il giovedì... il giovedì avrebbero potuto raccontarsi le loro cose, che erano le stesse cose che si raccontavano i 'grandi', ma i 'grandi' non li prendevano molto in considerazione.
Erano cresciuti a fiabe e storie sugli Invincibili, ma per i bambini è più interessante il presente, hanno tutto il futuro per pensare al passato, e il loro presente erano giocatori vivi, vegeti, magici.
I loro idoli facevano magie con la palla e lì, dietro a quella rete, era più facile vederli che non allo stadio.
Non si erano mai persi di vista e, già grandicelli, continuavano a parlare dell'impresa che avrebbero voluto compiere di lì a qualche anno.


Erano entrati di soppiatto, una notte, armati dell'incoscienza e dell'agilità della gioventù.
Nell’oscurità avrebbero scoperto che il tempo non esiste e che i sogni possono diventare reali.
Da quel momento, non avrebbero più smesso di credere.

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La Regina della Retorica fa un piccolo inchino al Grande Maestro, all'Amico Ado che ora dipinge in cielo, e torna a fare quello che fa di solito: vivere felice (con la scimitarra a portata di mano).

mercoledì 5 febbraio 2014

Entrambi avevano due cuori che battevano nel petto

Il confine visibile di uno dei miei due cuori
Domenica 26 gennaio

"Ahia!" Ho detto mentre mi stringeva con la sua forza adolescenziale ormai sovrastantemi.
"Scusa, mamma..." Mi ha risposto.
"E di che, ciccio? Ho solo messo un po' male il collo..."


Lunedì 27 gennaio

Cammino pel mondo e non sorrido solo quando i crampi alle guance si fanno fastidiosi.


Martedì 28 gennaio

Cazzo, 'sti crampi alle guance sono proprio fastidiosi: si impossessano anche del collo. Che roba strana.


Mercoledì 29 gennaio

Imbraccio la guitarra, strimpello per tre minuti tre, ma c'è qualcosa che non va: mi sento scomoda, non trovo la posizione, sono rigida come un blocco di marmo e provo fastidio per qualunque cosa. Ripongo la guitarra nel suo cantuccio e sento un lento ribollire di nervoso dentro.


Giovedì 30 gennaio

Dopo una notte infame, mi alzo dal letto a fatica con il collo bloccato e dolente.
Non riesco a fargli fare nessun movimento senza vedere stelle o evocare in malo modo divinità dimenticate da millenni.
La giornata in ufficio è da delirio... è tutto difficile: stare seduta, parlare, scrivere, digitare, respirare.
Inizia la danza degli antidolorifici e degli antinfiammatori: qualche cosa faranno, no?


Venerdì 31 gennaio

Notte ancora più infame, ma reggo botta.
Le divinità summenzionate chiamano a raccolta colleghi e parenti dandosi di gomito: "Hey! Venite! C'è una tizia che si ricorda di noi! È spassosissima!"
Aggiungo un miorilassante bbbomba: visto che antidolorifici e antinfiammatori non hanno fatto quasi nulla, qualcosa farà, no?
No.


Sabato 1° febbraio

Rimango a letto per tutto il giorno: sono un groviglio di dolori e lacrime, non ho neppure voglia di vedere la partita.
Poco prima del fischio d'inizio, il marito milanista - mosso a pietà - predispone affinché io possa vedere il match dal mio giaciglio: che ammmore! Che ammmore sì, però diventa Il Nemico per l'ora e mezza successiva.
Dopo qualche minuto chiamo la Stefi e deduco che dev'essere di nuovo cambiata la costante gravitazionale dell'universo.
Essa esclama: "Cazzo! È calcio d'angolo! Non è calcio d'angolo, Silvia?"
Io rispondo: "Ma che cazzo dici? Siamo a centrocampo..."
Il mio mononeurone esclama: "DING DONG!"
Chiedo alla Stefi: "Scusa... che minuto segna il cronometro sulla tua TV?"
La Stefi, non capendo ancora il senso della mia domanda, dice: "Al 13°..."
Io esplodo: "Nooooooooooooooo!!! Io sono ancora al 12°! Noooooooooooo! Vattene, vattene via! Lasciami sola nel mio tempo che deve ancora arrivare al tuo tempo!"
Stiamo guardando la partita con due gestori diversi: maledizione.
Ci congediamo e, mentre seguo il flusso del mio tempo, sento un leggero tramestio nella zona casalinga televisiva, dove scorrono le immagini della partita che per me è 'la partita che sarà' e non 'la partita in corso' (stesso gestore della Stefi...).
Sento un leggero tramestio, appunto, e i passi di Davide che si avvicinano.
"Mamma..."
"Che cosa succede? Ha segnato il Toro? Parla! Io sono indietro di un minuto! Parla! Ha segnato il Toro? Parla!"
E mentre lui sorride vedo Immobile farsi Quinto Elemento della Natura e GOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOL!!!!
Quel che segue dopo è orgoglio e confusione: orgoglio soprattutto per Capitan Glik che, nonostante un calcio nelle palle e uno in faccia, non tarantola più di tanto e si rialza per combattere come sempre, confusione perché ho sonno e dopo un po' appoggio il PC sul materasso e ciao berta.
Mi sveglio per qualche attimo quando il consorte entra in camera.
"Com'è finita la partita?"
"Ha vinto il Milan per 4 a 1."
"Non è vero."
"1 a 1, tranquilla."
"Tranquilla, 'sta cippa: mi sta salendo di nuovo il male."
Mi riaddormento, ma dopo un po' mi sembra di avere un rave party sul collo: vado a piangere un po' in cucina, così non disturbo nessuno ed è


Domenica 2 febbraio

È domenica 2 febbraio e non ce la faccio più: vado al PS all'alba.
Vengo visitata subito e poi dimessa: microtrauma a carico dell'ultima vertebra cervicale e della prima dorsale.
Apperò.


Lunedì 3 febbraio

Faccio chiamate, sento gente, decido: chiamo l'Istituto di Medicina dello Sport, fisso la visita fisiatrica per il mercoledì.
Sono spossata dal dolore e dalla nausea.
- Davide... non so mica se ce la faccio ad andare allo stadio domenica... ci vai da solo?
- Sì, mamma, tanto ormai conosco la strada.
Lui conosce la strada, lui si aggira sicuro per la vita, io però preferisco affidarlo - con il suo consenso - a qualcuno.
- Paolo, forse Davide domenica viene da solo alla partita: gli dai un'occhiata tu?
- Ma certo!
Dea, che bello il mio Clan.
Faccio la stessa richiesta anche a Davide-amico e mi risponde nello stesso modo (non avevo dubbi in merito).
Dea, che bella la mia Famiglia.


Martedì 4 febbraio

Vado in ufficio.
Il viaggio in metro è il Male: ogni sussulto provoca un improperio.
Anche il solito e assurdo incontro casuale è fonte di improperi.
Da due giorni non ascolto musica, due giorni senza i LZ... 'na tragggedia, insomma.
Appoggio le terga sul seggiolino, metto le cuffie, l'iPod mi propone "Whole Lotta Love", alzo il volume al massimo, le mie vertebre fruste sembrano giovarne, chiudo gli occhi, entro in un'altra dimensione. 
Ci entra anche la tizia seduta di fronte a me che, toccandomi un braccio per richiamare la mia attenzione, entra di prepotenza nella mia bolla prossemica.
"Sì?" Le dico.
"Lo sa che lei ascolta musica demoniaca?" Mi dice.
"Certo!" Le dico.
"Pregherò per lei!" Mi dice.
"Va bene!" Le dico.
Risistemo le cuffie: mi ha fatto perdere la parte col theremin.
La guardo con occhi kativi.
Torna a rifugiarsi nel suo breviario. 
Ma non poteva rimanerci, sul suo breviario, senza rompermi le gonadi?
Vabbe'.
Passa la giornata, tornare a casa e potermi stendere sul letto è il Paradiso anche se, devo ammetterlo, il male non è più martellante come prima.
Quando è ora di andare a dormire, entro pigramente in camera ma, da dietro il letto sbuca inaspettatamente Giulia che urla BU!
Non mi viene un infarto per puro miracolo e, nel sobbalzare, muovo male il collo: il dolore è di nuovo abbbestia.
Cazzio Giulia ma poi mi viene da ridere e pace in terra agli uomini e alle donne di buona volontà.


Mercoledì 5 febbraio

Il giorno della visita fisiatrica.
Dentro allo stadio.
Che palle... sono sempre qui.
Dalla visita si evince che le vertebre interessate sono tre e non due e che con un tot di sedute di varia fisioterapia ritornerò ad essere semplicemente un rottame e non un rottame malandato: hip hip urrà.
Torno a casa ancora dolente e la sarò ancora per un po', ma quanto meno il cuore è più lieve anche perché, al termine della visita...
- Dottore, ancora una cosa...
- Mi dica.
- Domenica posso andare/venire allo stadio?
- Solo se si mette un bello sciarpone intorno al collo.
- Lo faccio sempre!
- Bene... e dica a suo figlio di andarci piano la prossima volta!
Ci congediamo stringendoci le mani e via a vele spiegate.

Puff puff pant pant: cronaca di una settimana e un pezzetto.
Morale della favola: la sfango anche questa volta anche se... zio cane, che male.

Nota a margine: Entrambi avevano due cuori che battevano nel petto

Un'ultima considerazione su chi, come mio figlio e me, si trova talvolta in bilico fra una passione e l'altra.
Mio figlio non è solo tifoso del Toro, mio figlio è anche tifoso del Milan.
Ha fatto la scelta personale di stare dalla parte della mamma E ANCHE del papà.
Il fatto che si esprima mooooooolto più frequentemente sulla base del vocabolario granata dipende dai suoi movimenti animici e io non ci metto becco: lo guardo crescere e lo lascio essere così com'è... è quasi inebriante avere la possibilità di veder crescere una persona.
E lui cresce bene, cresce sereno, cresce con i suoi due cuori, uno granata e l'altro rossonero: sono tanto orgogliosa di lui. Granaticamente parlando, il mio orgoglio si è fatto pavonismo quando, durante Toro-Milan dello scorso campionato e di quello in corso, il cuore rossonero è rimasto del tutto dormiente.
Sento di comprenderlo, sento di capire come si sente in questa sua strana serenità di non essere apparentemente né carne né pesce e di sapere, nei suoi cuori, chi è: la consapevolezza è importante.
Sento di comprenderlo, sento di capire come si sente, perché anche io ho due cuori che battono nel petto e uno di essi è totalmente inglese e quando mi accade di tornare in Albione il cuore tricolore si riposa un po' e lascia che sia l'altro a prendere il sopravvento.
Senza lottare, senza sgomitare, senza far casino.
In pace e in armonia.
Quando qualcuno parlerà di Davide e di me al passato, dirà: "Entrambi avevano due cuori che battevano nel petto."
Ma ciò accadrà fra circa otto secoli, quindi la finisco qui e sento una roba che mi piace tanto tanto tanto.
A fare headbanging pensateci voi: io ho troppo male.