mercoledì 25 maggio 2016

Blues

"Quando te ne vai?", chiedevo due anni e mezzo fa.
La risposta è: oggi.
Un po' di gratitudine c'è, il resto è troppo torbido per essere espresso senza cadere in trivialità poco consone alla mia persona (disse colei che una volta, prima di un derby vinto, vinto giusto lo scorso anno, abbracciò felice un amico - finalmente conosciuto di persona - facendo rombare un bestemmione per tutto l'universo.).
Ciao, dunque, ciao ciao ciao.

Papà ne sarebbe stato felice quanto me e parlandone avremmo fatto un po' gli scemi al telefono.

Voltiamo pagina, dunque.

Con incertezza e pensieri foschi, pensieri - lo ammetto - legati a vicende che non si intrecciano con il football ma con la vera vita e anche - soprattutto - con la vera morte.

Spero di ritrovare un po' di Toro.

Oh, vabbe'... non faccio così tanta fatica a trovare e ritrovare il Toro quando muore.

Il Toro muore mille volte? Il Toro rinasce mille e una volte.

Sic et simpliciter.

Mi accontento di poco, io (hahahahahahahahahahaha!!!).

Come dicevo altrove... sono felice ma anche no: dura la vita di chi è stato scelto dal Toro e dal blues.

Durissima.

E non farei cambio con nessun'altra realtà.

Felice vita, felice ascolto, felici lacrime: l'augurio migliore che posso fare a me e a coloro a cui voglio bene.



Blues Jam

lunedì 16 maggio 2016

Non vedevo l'ora

Non vedevo l'ora che arrivasse di nuovo il Sedicimaggio, non vedevo l'ora... poi c'è stata Empoli-Nonsobeneche e mi è passata tutta la poesia.

Tuttavia, al mio risveglio questa mattina, ho deciso che avrei vissuto intimamente la gioia del ricordo di quel giorno di quarant'anni fa lasciando le giaculatorie ad altri momenti.

Volevo stare molto in silenzio, soprattutto per incoraggiare la mia testolina a tacere per qualche attimo.

E poi è successo.

È successo che un amico mi ha mandato una foto di tanto tempo fa.

Undici uomini in pantaloncini corti.

Nella fila di quelli accovacciati, il secondo da sinistra: Papà.

Bello come la Pioggia, sereno come la Luna, sorridente come la Vita (perché la Vita sorride, anche quando è bastarda).

Ho quasi avuto le vertigini e poi ho sentito un suono strano dentro di me.

Ho sentito una specie di 'crack'.

Lo stesso suono che fanno le uova quando vengono perforate da un cucciolo che si fa strada per venire al mondo.

Il cucciolo sono io.

Io.

Io che, nel momento in cui Papà si è ammalato, ho scelto di mettere in stasi le emozioni, di controllarle per non cedere sotto un peso che avrebbe potuto schiantarmi.

Le ho prese tutte, le mie emozioni, e le ho messe dentro ad un uovo, in compagnia di tutte le lacrime che non ho sfogato fin qui.

Forse oggi si stanno aprendo piccole brecce nel guscio di quell'uovo... forse oggi è il giorno tanto temuto in cui non riuscirò a contenermi britannicamente... forse oggi è il giorno in cui tutte 'ste lacrime inizieranno il loro viaggio verso il mondo esterno... forse oggi è il giorno in cui rinasco un po'.

Se il Sedicimaggio di quarant'anni fa mi avessero detto che quattro decenni dopo avrei voluto vivere questo anniversario così speciale non dicendo una singola parola in merito alla Beatitudine, avrei pronunciato la mia prima bestemmia.

Nessuno me lo disse: io di quel giorno ricordo gli abbracci, i sorrisi, la gioia, le parole smozzicate, le lacrime, la sensazione di far parte di qualcosa di così grande da non poter essere definito.

E di questo giorno, di oggi, ricorderò sempre di aver fatto il primo passo per lasciar andare tutta la tensione accumulata fin qui.

Ben vengano le lacrime, dunque, finalmente.

Sì, lo so, Papà... se tu mi leggessi adesso mi diresti: "Posso darti un consiglio? Mollala un po' con le lacrime... fai venire la pecòla..."

E allora sai che cosa faccio? Piango. Così magari mi telefoni e mi maltratti-al-miele come SOLO tu sapevi fare.

Però non mi telefonerai, mannaggia... mi manchi così tanto che a volte mi si mozza il fiato.

Grazie per avermi portato in spalla la sera dopo lo Scudetto mentre eravamo a Superga, grazie per avermi portato in spalla sempre, anche quando ti ero insopportabile ma l'amore, il TUO amore, ti rendeva le spalle così larghe da superare qualunque cosa, anche quella di avere una figlia con un carattere identico al tuo, che definire 'complesso' pare quasi una battuta mal riuscita.

E questo è quanto.

Lo Scudetto del Toro, quel Sedicimaggio là, è qualcosa che va al di là della castrante partita di sabato (tralasciando di parlare di tutto il campionato appena finito, che ha consumato qualsiasi ragionevole forza).

Sono felice di avere imparato a mettere il fieno in cascina per i tempi più duri: almeno ORA posso provare ad accomodarmi su di esso e a guardare il cielo.

So che ti vedrò in tutto ciò che mi hai insegnato: il Toro, le stelle, le nuvole, me.

Grazie, Papà: forza Toro.


domenica 8 maggio 2016

Il cuore

Foto scattata da mio marito
per bontà di cuore
Credo che avrebbero preferito continuare a vivere per vincere, fallire, invecchiare, chiudere gli occhi circondati dagli affetti più cari, senza sapere che la loro improvvisa scomparsa li avrebbe resi immortali e più amati.

Quando mi capita di sognarli, li sogno sempre indaffarati e sorridenti.

D'altra parte non ci si aspetta che il proprio sorriso vada a schiantarsi contro una collina.

Nel DNA ho il terrore per i voli (che non mi ha impedito di viaggiare) e, assurdamente, l'amore forte per la pioggia, soprattutto se è pioggia che rende la vista inutile.

Quante persone esistono dentro ognuno di noi... tante, talvolta troppe.

Tutto questo amore, tutto quell'amore nato da uno schianto su una collina, nato dal racconto reiterato di quello schianto, racconto raccontato come favola della buona notte, racconto raccontato per sancire l'ingresso nel mondo dei 'grandi', racconto raccontato perché 'un giorno lo racconterai ai tuoi bambini e loro lo racconteranno ai loro bambini', tutto questo amore a volte, travolto dal peso dell'ingiustizia, diventa odio.

L'odio non è il contrario dell'amore, l'odio è una forma sbagliata dell'amore.

E dunque mi lascio semplicemente sommergere dall'emozione senza darle un nome e ringrazio il cielo per avermi concesso la buona sorte di provarla.

Ho avuto buoni maestri ed essi, a loro volta, hanno avuto una buona allieva.

Hanno seminato, io ho dato frutti.

Adesso depongo il mantello granata della mestizia e vado verso quel che ancora non conosco.

Il giorno dopo la morte di mio padre, subito dopo il rosario, ero andata in birreria con gli amici: una delle sere più piene di tutta la mia vita.

Anche in quel caso avevo deposto il mantello della mestizia perché, seppur con il cuore a pezzi, c'erano loro, gli amici, mio marito, i miei figli, a dimostrarmi ancora una volta che amor omnia vincit.

Perché vivere è proprio così: camminare tra luci e ombre e andare avanti per fermarsi ogni tanto a guardare verso il cuore e capire che, per quanto sia infranto, il cuore non può fare a meno di pulsare.



Cerea.


[originariamente pubblicato su FB in data Quattromaggio dell'anno in corso]