giovedì 31 dicembre 2015

Le conclusioni

"Un nuovo anno: tirerò le conclusioni solo quando sarà terminato, né prima né dopo né lungo il percorso."

Così dicevo qui e mantengo la promessa.

In questo anno ho visto mio padre chiudere gli occhi per sempre.

In questo anno ho ricevuto bene e amore e comprensione e amicizia.

In questo anno mi sono confrontata con male e odio e incomprensione e perdite di amicizie (soprattutto una: pluridecennale; così doveva andare).

In questo anno ho sofferto e goduto di Toro e ogni volta in cui avrei voluto fuggire via sono rimasta e, tutto sommato, è stato un bene.

In questo anno ho visto mio padre chiudere gli occhi per sempre.

Il resto non ha davvero importanza e non me ne vogliano coloro cui devo la gratitudine che meritano.

Vattene, 2015, e porta via con te quel dolore impossibile da dire e con cui talvolta fatico a confrontarmi.

Faccio finta che manchino pochi secondi alla fine di questo anno, dai.

Cinque.

Quattro.

Tre.

Due.

Uno.

Ciao, Papà...

"Ogni tanto
ci abbracciavamo
rimanendo in silenzio
e in quell'abbraccio muto
c'era tutto."







venerdì 4 dicembre 2015

December 4, 1980

Riporto quello che scrissi lo scorso anno...

Il quattro dicembre è quel giorno che guardo arrivare come se stessi osservando un piatto che, accidentalmente, cade dal tavolo.
Lo vedo cadere al rallentatore, non posso fare nulla per cambiarne la traiettoria, per fermarlo, per far cessare la caduta.
E poi si infrange al suolo e, sempre al rallentatore, mille schegge saettano in tutte le direzioni, compresa quella che porta dritto al mio muscolo cardiaco.
Questa è la scheggia numero 34.

... solo che questa è la scheggia numero 35.

Forse ho il cuore fatto di cuoio.

Forse.



Grazie, Voi quattro, grazie.


sabato 14 novembre 2015

Parigi

In questa notte in cui mi è impossibile prendere sonno, Parigi è:

- due giorni di bellezza dopo una settimana di Bretagna

- l'improvvisazione (Andiamo a Parigi? Sì, dai)

- dover uscire in tarda serata dall'hotel per un allarme incendio

- ricevere la telefonata di papà che mi annuncia l'acquisto di Belotti

- ricordi gioiosi e pieni di colori

- Davide e Giulia che fanno i fratelli amorosi

Per un breve momento - e solo uno - faccio finta che sia sempre tutto bello.

Fatto.

Finito.

Adesso faccio un giro della casa, mi assicuro che marito e gagni stiano dormendo sereni, do due carezze alla gatta e poi torno ai miei pensieri.

Vedrai, papà, quando Belotti farà un goal alzerò le braccia così in alto che riuscirò a sfiorarti le dita.

La tua voce felice di quel momento parigino mi fa compagnia in questa notte.

Mi fa compagnia e mi riporta a quel nostro viaggio insieme a Parigi più di trent'anni fa.

Non guardare giù questa volta, no: non guardare.

Dove sei tu probabilmente ti è tutto più chiaro.

Qui è notte e nelle notti in cui non si può proprio dormire si cerca conforto.

Io non riesco a dormire: pensaci tu.



domenica 8 novembre 2015

Unforgettable

Luce e Ombra: la Vita e la Morte camminano a braccetto.

SEMPRE.


[Foto presa da http://purple66.blogspot.it/2012/11/08111976-08112012-ciao-giorgio.html]

domenica 25 ottobre 2015

Ma la più bella...

"Figli, andiamo a vedere la partita di Youth League?"
"Sìììììììì!!!"

È stata una giornata faticosa e l'abbiamo portata a conclusione, felici come (quasi) sempre.

Tante le vicende da raccontare, ma la più bella è stata mettermi d'accordo con i figli per incontrarci allo stadio.

Loro sarebbero partiti da casa, io dall'ufficio.
Loro con il bus, io con la metro.
Loro sul bus che iniziano a mandarmi SMS stupidi, io che uscendo dalla metro ribatto con il meglio della mia stupidera.
Io che chiedo loro: "Avete già superato piazza Carducci?", loro che mi rispondono: "Stiamo per arrivarci.".
Io che salgo sul bus e li individuo e dico a voce alta: "E allora?", loro che sussultano e spalancano gli occhi e sorridono grande come due galassie.

Se si fossimo messi d'accordo non saremmo mai riusciti a prendere lo stesso bus e dunque è stata una bella cosa, ma la più bella è stata arrivare allo stadio e vedere il granata delle grandi occasioni: tante tante tante persone e, soprattutto, tanti tanti tanti ragazzini.

Che bella cosa, ma la più bella è stata fare il tifo per i Ragazzi della Primavera sapendo che se lo meritavano tutto e anche di più.

Che bella cosa, ma la più bella è stata vincere.

Che bella cosa, ma la più bella è stata vincere COSÌ.

Che bella cosa, ma la più bella è stata, dopo la partita, andare nel solito pub, accorgersi che tutti gli avventori erano gobbastri e che erano intenti nel vedere la partita della giuve, compiere azione di disturbo (senza esagerare: est modus in rebus), sfoggiare le sciarpe granata ancora impregnate di vittoria e le tre bandierine tre che Giulia brandiva in stile Wolverine.

Che bella cosa, ma la più bella - trattandosi del Toro e dei miei figli - deve ancora accadere e, in definitiva, la cosa più bella è che tutta questa vita, nonostante gli inciampi e i momenti bui, mi piace.




lunedì 19 ottobre 2015

Diciassette ottobre

Sì, tutto bello, tutto intenso, tanta felicità, finalmente a Casa, Giulia, mia piccola Giulia, quando sentirai parlare Pulici capirai ancora una volta perché il Toro ti ha scelta, Davide, mio grande Davide, stammi vicino ché mi viene un po' da piangere, come sono belli i miei figli, sono tanto fortunata, stiamo qui ammassati a NON fare foto, però aspetta: una foto voglio farla, voglio fare una foto a quella casa là, quella casa all'angolo fra via Spano e via Tunisi, quella all'ultimo piano, sì, proprio quella, quella è la casa in cui (forse) sono stata concepita, quella è la casa in cui (sicuramente) ho imparato a camminare, a dire le prime parole, la casa in cui mi hanno dato la prima minestrina e l'ho sputata quasi tutta perché papà aveva riso così tanto dopo che ne avevo sputato il primo cucchiaio, quella è la casa in cui ho il ricordo più antico, il ricordo di quando mi sono fatta pizzicare le manine dalle porte dell'ascensore, che bella la casa di via Spano, ricordo in modo nebuloso il terrazzo, ricordo il terrazzo e i giochi, i giochi che facevo con mio fratello, ricordo anche quello che non posso ricordare perché non c'ero ancora, ricordo che mamma e papà erano andati a vivere là da sposini, sì, proprio lì, sopra il Fila, e allora sì, sabato siamo tornati a Casa ma io, sì: io, io, io, ci sono tornata per due volte e, ditemi quello che volete ma io, sì: io, io, io, ogni tanto alzavo la testa verso quel terrazzo e li vedevo, vedevo mamma e papà giovani, felici, con tutta la vita davanti, e mentre li vedevo ringraziavo il Fato perché hanno davvero avuto una bella vita insieme e anche io ne ho fatto parte.

Certe cose vanno dette tutte d'un fiato se no non si riescono a dire.

Ciao, Papà, continuo a guardare in cielo: me lo hai insegnato tu.

E sempre forza Toro (che vuole dire tante, ma tante, ma tante e ancora tante cose, soprattutto quelle che non si riescono a dire in altro modo).



sabato 19 settembre 2015

Due anni!

Tanti auguri a me e tanti ringraziamenti a chi bazzica da queste parti.

Due anni fa scrivevo che avrei voltato pagina per l'ennesima volta (proprio così) e, nelle tante altre pagine che mi è accaduto di voltare, è successo quel che succede a quasi tutti gli esseri umani: ho vissuto.

Sono felice ed orgogliosa di me.

Vivo e non mi lascio vivere dalla vita.

Fra una lacrima di gioia, un silenzioso urlo di dolore, una corda di chitarra che si spezza e un accordo ben riuscito, vado avanti.

In questi due anni ho temuto che mi esplodesse il cuore in almeno millemila occasioni... come quella volta in cui abbiamo vinto contro il Genoa nei minuti di recupero e ho rischiato seriamente di uscire dallo stadio primo del tempo, come quella volta in cui abbiamo vinto il derby, come quella volta in cui è morto mio padre, come quella volta che deve ancora arrivare e che mi troverà pronta ad andare comunque avanti.

Ammetto in tutta onestà che mi fa girare l'anima che papà non possa più leggere quello che scrivo: è stato il mio più feroce critico e il mio più fervido ammiratore.

In questi due anni (e anche in quelli precedenti) alcuni hanno provato a denigrarmi per partito preso e si sono fatti ancor più rabbiosi quando non hanno visto reazioni da parte mia: care carognette, io esisto indipendentemente dal fatto che a voi possa piacere o meno. Altri mi hanno spinta a continuare a curare questo mio piccolo orticello quando non avevo abbastanza voglia, pazienza e amore per farlo.

La mia gratitudine va ad entrambi, sia alle care carognette sia ai sostenitori: mi avete insegnato qualcosa in più della vita e delle dinamiche interpersonali.

In questi due anni  ho vissuto: sono fortunata.

Dunque buon compleanno, Pagina Infinita: cento di questi giorni (vabbe'...).

****

Playlist:
- Celebration Day, Led Zeppelin
- Perfect Day, Lou Reed
- It's A Hard Life, Queen
- Going Out In Style, Dropkick Murphys



domenica 6 settembre 2015

Un buco a forma di papà nel cuore

Martedì 1° settembre 2015

Non dormo.
Mi alzo.
Vado in cucina.
Faccio un sudoku.
Dea, che tensione c'è nell'aria...
Metto su il caffé.
Scrivo due email.
Suona il cellulare.
"Silvia, mi hanno chiamata: il papà si è aggravato."
"Arrivo."

"Claudio?"
"Sì?"
"Mi ha chiamato mamma: papà si è aggravato. Puoi portarmi in ospedale?"

Ci aggiriamo per casa come due diavoli della Tasmania con i piedi rivestiti di cotone: cerchiamo di non svegliare i ragazzi.
Mentre recupero una t-shirt lì, i pantaloni là, le scarpe, dove cazzo ho messo le scarpe?, l'immancabile sciarpa leggera, mi si gonfia il torace in maniera irregolare, respiro male.
"Respira bene, Silvia..."
"Sì."

Scendiamo in cortile, saliamo in auto, lungo il tragitto racconto a mio marito le cose che mi vengono in mente, cose che gli ho già raccontato mille volte, ma questa volta hanno un sapore diverso.

Parcheggio.
Ospedale.
Corridoio.
Altro corridoio.
Ascensore.
Camera.
Mio fratello.
"È mancato."
Apro la tenda gialla.
Mamma.
Oh, mamma...
E papà.
Oh, papà...

Lo accarezzo a lungo, gli parlo, lo guardo.
È bellissimo.
È di nuovo il mio papà.
Ha il volto disteso.
Disteso e BELLO.
Quegli zigomi, quel naso, quella fronte.
Gli occhi... no, gli occhi sono chiusi.
Ma è di nuovo il mio papà.
La sofferenza bastarda degli ultimi giorni è volata via, insieme con lui.

Le cose da fare.
Tantissime.
Iniziamo a farle.
Vuoto l'armadietto. Tuffo il naso nella sua camicia: profuma di lui.
Vuoto il cassetto del comodino. Dentro c'è la sua vera e lo scoubidou che Giulia gli ha regalato due giorni fa, azzurro come i suoi occhi.
Le cose da fare.
Tantissime.

E poi.
Il pomeriggio andiamo al cimitero per predisporre altre cose, dopo aver formulato quanto scrivere sui manifesti funebri (c'è mezzo Piemonte lì dentro, siamo un po' buffi, oltre a essere tanti).
Accompagniamo mamma a casa: vuole imparare a stare da sola a partire da subito.

Il ritorno a casa, l'adrenalina che si ammoscia: oddea, che cos'è successo? Sono per caso stata investita da un treno? Ho male dappertutto. Ah no, sono stata investita dal Mistero Insondabile.

Minchia, se fa male...


Venerdì 28 agosto 2015

"Francesco, domenica sera cercami allo stadio, perché se ci sono vuol dire che non è ancora successo niente. Ti chiedo solo il favore di cercarmi, perché se mi troverai vorrà dire che non sarà successo ancora niente. E se non mi troverai ti chiedo la cortesia di tifare anche per me, per lui e per mio figlio. Te lo chiedo solo in nome di questa cosa granata che papà mi ha regalato insieme alla vita."

"Ma certo che ti cerco. E spero di trovarti. Sei al solito posto? Mi sbilancio: ci vediamo domenica.
Ti sono vicino."


Sabato 29 agosto 2015

Sono in piedi accanto al suo letto: fa molta fatica, soffre.
Mi prende una mano e restiamo a parlare di tutto e di niente.
Mentre parlo si porta la mia mano alla bocca e mi dà un bacio.
Invasa dalla tenerezza lo bacio sulla fronte.
Un bacio tira l'altro e ci viene perfino un po' da sorridere.


Domenica 30 agosto 2015 - mattina

"Silvia? Papà si è sognato di volere il ventilatore portatile ma è rimasto a casa in campagna, riesci a procurargliene uno?"

"Non c'è problema."

Mio marito ed io giriamo come due trottole fino a trovarne uno orrendo. Vabbe', mica c'è solo bellezza al mondo.

Glielo porto in ospedale e sembra avere un po' di sollievo dal caldo opprimente (il caldo è sempre opprimente, no? Eppure io avevo anche i brividi).

Mi chiede di fargli aria e poi vede che sto gocciolando come un sacchetto tolto dal freezer: una vampata. Le gioie della menopausa. Prende il ventilatore in mano e mi delizia di vento e tenerezza.

"Papà, questa sera c'è Toro-Fiorentina. Che cosa faccio: vado o non vado allo stadio?"

"Vai, vai... esigo che tu vada!"

E io ho fatto come ha detto lui.



Domenica 30 agosto 2015 - sera

Meno male che ho fatto come diceva lui e per tanti motivi.

Mando a papà una foto di Davide che stringe la sciarpa granata fra le mani, "Ciao Papà. Ti voglio bene."

Francesco viene a cercarmi e mi porta anche Stefano e Marco e stiamo lì a fare gli stupidi ed è bellissimo fare gli stupidi e poi ognuno riprende posto e il Toro fa... fa godere, zio cane, fa godere.

Al terzo goal l'abbraccio con Davide è estaticamente doloroso, gridopiangosinghiozzogodo.

Spero di fare in tempo a dirlo a papà.


Lunedì 31 agosto 2015

"Ciao Mamma, hai dormito?"

"Sì, un po', ma dimmi un po' della partita..."

Le racconto tutto, ma proprio TUTTO, Più tardi in mattinata mi dice di aver riferito a papà e che papà è contentissimo.

Vado a dormire con un po' di inquietudine, ma ormai quella lì mi segue sempre: devo farmene una ragione. Eppure è un'inquietudine diversa, ma chissà... magari sono solo un po' stanca.


Martedì 1° settembre 2015

Non dormo.
Mi alzo.
Vado in cucina.
Faccio un sudoku.
Dea, che tensione c'è nell'aria...
Metto su il caffé.
Scrivo due email.
Suona il cellulare.
"Silvia, mi hanno chiamata: il papà si è aggravato."
"Arrivo."

Oddea, il mio papà, il mio bellissimo papà...



Poi.

La gente, le visite, le telefonate, i telegrammi, le strette di mano, i baci, gli abbracci, le facce incredule, la verbalizzazione delle due ultime settimane, violente e crudeli, l'assenza di lacrime, il funerale.


Infine.

Non ho più voglia di raccontare.

In questi giorni ho guardato e riguardato, sempre incredula, il manifesto funebre su cui papà ha voluto scrivessimo tre specifiche parole sotto il suo nome.

Assurdamente - ma anche no - il Toro ci ha aiutati e ci sta aiutando ad addolcire le taglienti asperità.

Ora provo ad imparare a vivere con un buco a forma di papà nel cuore.

Così sia.


Un ringraziamento particolare a chi spontaneamente mi ha offerto tutto ciò di cui avevo bisogno.
Non vi elenco perché ho la testa ancora un po' confusa e voglio evitare di dimenticare qualcuno: spero di riuscire a trovare le parole per dirvi quanto siete grandi e importanti.

lunedì 24 agosto 2015

La prima di campionato

Guardiamo la partita insieme e c'è comunque odore di stadio.

Siamo in formazione tipo, da destra a sinistra: papà, io, mamma, Davide.

Smadonniamo quanto basta nel primo tempo, poco dopo il secondo goal papà decide di andare a dormire.

Finisce la partita: evviva evviva, ciao, buonanotte.

Salgo per le scale, mi sento chiamare.

- Silvia!

Mi metto a correre.

- Dimmi, papà.

- Com'è finita?

- Abbiamo vinto.

- Ooooh, meno male...

- E già! Buonanotte, néh? Ah, tra l'altro... noi siamo primi, loro sono ultimi: gobbi, sucate!

- [ride]

Lui è uno dei miei Maestri di Toro.

È una vita che spero di essere almeno ad un undicesimo della sua altezza.

W il Toro, néh?

[rido]




giovedì 20 agosto 2015

La brezza gelida

È andata un po' come in quel giovedì del '49: una doccia fredda.

La professoressa era entrata in classe con alcuni giornali sottobraccio e aveva detto alle alunne che si era verificata una tragedia: il Torino non c'era più.

Mia mamma aveva pianto tanto.

La mia - ennesima - doccia fredda è arrivata in un assolato martedì del '15 mentre facevo colazione con la mia famiglia.

"Ah, mamma... ho letto che è morto il cappellano del Toro..."

[scricchiolio di cuore che sta per infrangersi
ma si aggrappa disperatamente alla possibilità di un errore
che NON può esistere ma chi lo sa]

"Don Rabino?!? È morto Don Rabino?!?"

"Sì..."

[fragore di frammenti di cuore
che precipitano
fino all'altro capo dell'universo]

"Oh cazzo..."

[silenzio]

E poi scrivo alla Stefi: lei è sempre così fuori dal mondo...

Io - È mancato Don Aldo Rabino.
Lei - Che dolore. Ma basta.
Io - Sono molto scossa.
Lei - Porca vacca. Che senso di impoverimento.
Io - Ecco, appunto.
Lei - Veglierà su di noi come sempre.
Io - A volte vorrei non credere nell'aldilà.
Lei - A volte è la sola consolazione possibile. Se riuscite ad andare al funerale, puoi scrivere sul libro delle firme "Fanotti"?
Io - Sure.

___________________

Questa mattina, andando verso Maria Ausiliatrice.

Io - Ciao, mamma, com'è andata la notte?
Lei - [racconta, preferisco non divulgare]
Io - Sto andando con Davide a salutarlo, siamo quasi arrivati.
Lei - Puoi mettere anche il mio nome sul libro delle firme?
Io - Certo, mamma, lo farò.
___________________

Ho messo i vostri nomi, ho messo quello di papà, ho messo quello di Davide, ho messo il mio.

Per qualche istante ho sentito nell'aria lo stesso odore che avevo respirato sotto la pioggia quando, insieme con mamma e mio fratello, ero andata a salutare Capitan Giorgio: l'odore del Tempo, tanto simile ad una brezza gelida che si insinua nelle vene.

Le rende più forti o più deboli? E chi lo sa... fortunata sarò finché potrò sentirla e raccontarla.

La brezza gelida... quella che negli anni mi ha intriso di cinismo, ma probabilmente era scritto che cinica diventassi.

E che nessuno dica che i cinici non versano mai lacrime: ne ho partorite alcune che sento ancora scivolare sulle guance a ore di distanza.

Riposi in pace chi tanto si è dato da fare in vita, viva serenamente chi ha scelto la pace.

Forza Toro sempre e per sempre.









giovedì 23 luglio 2015

Odio l'estate

Odio l'estate.
Odio l'estate dello scorso anno e odio l'estate dell'anno in corso.
Si tratta di odio allo stato puro.
Il caldo non c'entra una mazza: avete rotto il cazzo con le vostre lamentele sul caldo estivo, sulle piogge autunnali, sul freddo invernale, sui pollini primaverili.
Avete rotto il cazzo con le VOSTRE lamentele indipendentemente dalla stagione.
Rompete le palle con la tristezza delle vostre vite inutili a cui non sapete dare significato se non quando, per altrettanta tristezza, altri poverini vi erigono a baluardi di chissà quale verità (spesso si tratta di minchiate travestite da verità, svegliatevi).
Siete quelli che di fronte alle tragedie vere non sanno che cosa dire (e ci può stare) e soprattutto aggiungono minchiate alle minchiate: il bel tacere È un'alternativa, prenderla in considerazione non potrebbe che farvi del bene.
Odio l'estate.
Soprattutto odio l'estate che è iniziata ieri e, per assurdo, odio ancor più il momento in cui finirà.

Forza Vecchia Quercia Granata.




martedì 16 giugno 2015

Regola di vita n. 111

Amarlo SEMPRE, non solo quando vince.

W il Toro.


N.B. Non è una vera e propria regola... è solo quello che provo.





Grazie, Ragazzi :'-)

mercoledì 10 giugno 2015

Giulia

Giulia, Giulia mia, Giulia profondamente e consapevolmente di te stessa, Giulia.

Ho passato la giornata a pensare a domani, domani che sarà il tuo ultimo giorno di scuola elementare, anche se la scuola elementare si chiama scuola primaria... il tuo ultimo giorno di scuola elementare.

Pensavo a domani e pensavo a cinque anni fa, quando era toccato a Davide: ero andata a prenderlo al postscuola e insieme ci eravamo messi a piangere e insieme avevamo percorso il corridoio - interminabile - e insieme ci tenevamo stretti stretti e insieme piangevamo.

Poi sono arrivata da te, oggi, e mi sei corsa incontro e con la voce piccola mi hai detto: "Mamma... mi mancheranno i miei compagni..." e ti sei messa a piangere per davvero.

Io pensavo alle lacrime, tu le scagliavi nel mondo.

Ci siamo abbracciate e ti ho dondolata un po', poi siamo uscite dalla scuola e hai continuato a piangere.

"Giulia... posso piangere anche io?"

"No."

"No."

Come quella volta in cui avevi deciso che la tetta di mamma non rientrava più nel tuo piano alimentare: mi avevi guardato dritto negli occhi, mi avevi sorriso e poi avevi detto "No.": non sei mai stata una che cincischia.

Abbiamo districato il nostro odierno abbraccio solo quando siamo giunte ai tornelli della metro, ma poco dopo mi hai afferrato una mano e l'hai stretta forte forte.

Tutto il resto ce lo diremo di nascosto, magari coricate sul materasso, magari facendo finta di essere due volpi o due lupe o due gatte o due draghette o quel che ci andrà di essere.

Una parola, però, te la voglio regalare: te la meriti tutta, e la parola è GRAZIE,



GRAZIE per essere stata questa cucciola al primo giorno di elementari



GRAZIE per essere stata questa bambina (insieme con tuo fratello Davide e tuo cugino Samuele) intorno alla metà di questo lustro



Grazie per essere stata questa ragazzina pochi giorni fa, mentre viaggiavamo verso la Camargue


Grazie per essere come sei nel momento in cui lo sei.

Ti amo,

Mamma



domenica 7 giugno 2015

The sound of silence

Io sono andata a letto intorno alle 21: mi ero già espressa e tanto mi bastava.



Ho sorriso molto quanto ho constatato che il mio giubilo post primaincornatadelBarça fosse stato scambiato per quello finale.

Avevo sonno, ma di dormire non se ne parlava affatto: una sorta di corrente elettrica mi pervadeva gambe e braccia e non mi consentiva di stare orizzontalizzata sul materasso.
Provavo a leggere un libro e poi un altro e poi un altro ancora... mi si abbassavano momentaneamente le palpebre, ma un urlo belluino squarciava la calma della seranotte: i gobbi avevano segnato.
Il tempo procedeva, il sonno non arrivava, facevo la spola dal letto alla TV e quando il Barça segnava e poi segnava ancora, l'urlo belluino si alzava dalla mia gola.

È bello squarciare certi silenzi.

È stato bello anche spegnere la TV, tornare a tentare di addormentarmi, riprendere in mano il Kindle e sentire il silenzio del mancato strombazzamento scomposto che alcuni speravano di mettere in pratica (cuumerlo!).
Che pace... che silenzio... che silenzio esagerato... e che buio... che buio sconfinato... perbacco: era andata via la corrente in tutto il quartiere.
Mi alzavo per l'ennesima volta e chiedevo ai figli se volevano che accendessi una candela: Giulia, con gli occhi più grandi del solito, annuiva.
Accendevo una candela grigia e aspettavo con loro che succedesse qualcosa.

Niente: silenzio assoluto.

Decidevamo di andare tutti quanti a letto, spegnevamo la candela, entravamo nel confortevole buio e tornavo nuovamente a leggere (no, non ci ho i poteri... cioè: un po' li ho però, in questo caso, si trattava di Kindle con retroilluminazione).
La luce tornava poco dopo la mezzanotte e portava con sé un silenzio diverso, quello da cui siamo circondati abitualmente la notte ma di cui - forse - non abbiamo più percezione per pura abitudine: il silenzio condito dal ronzio di frigoriferi ed altre diavolerie elettriche.
Il blackout post partita, però, ci aveva regalato il silenzio (quasi) assoluto ed era stato un dono ulteriore dopo la tripletta del Barcelona.

Oh, il suono del silenzio... Ciao oscurità, mia vecchia, amica, sono venuta di nuovo a parlare con te...

Dedico The Sound Of Silence (Simon & Garfunkel, 1965) a chi pensa che il mio rosicamento (quale? O_o) mi permetta di godere solo delle disgrazie altrui (LOL): provate ad ascoltare Musica invece che unz-unz... potreste scoprire che c'è speranza pure per voi.
Andate in pace anche se més que un club è un concetto che non capirete mai: poverini.







sabato 6 giugno 2015

Fenicotteri

"Domenica non ci vediamo: vado in Camargue per qualche giorno..."

"E ti perdi l'ultima di campionato?"

"Sì."

"Ma cazzo... non puoi proprio esserci?"

"È diverso: NON VOGLIO esserci perché VOGLIO passare qualche giorno con la mia famiglia."

"Ma anche noi siamo Famiglia..."

"Sì, vabbe', ciao."


A volte (sempre) è difficile (impossibile) parlare con chi non vuole sentire, ma onestamente I don't give a fuck.

Ci siamo regalati tre giorni di fenicotteri, cavalli, zanzare e isolamento da tutto e da tutti (tranne che da noi quattro: figli, marito ed io me medesima): ne avevamo bisogno. Tanto. ***

Poi ho chiuso questo blog.

Oggi lo riapro.

Il mio blog è stato chiuso solo per cinque giorni, ma per me è stata un'eternità.

Un'eternità di domande (a cui hanno risposto gli Amici), di eventi personali che hanno cambiato radicalmente e per l'ennesima volta il mio modo di soppesare accadimenti e scorrere del tempo, di piacevoli sorprese inaspettate e di cose che metterò per iscritto nei giorni a venire.

Ne anticipo una: è il mio aggancio più forte al futuro, anche se affonda le radici nel mio passato remoto.

Due giorni fa ho preordinato gli ultimi remasters dei Led Zeppelin.


Sono i tre nuovi bambini che abbraccerò a inizio agosto.

Con cuore retoricamente gonfio d'emozione, riapro il blog e conto i giorni che mi separano dal ricevere quei vinili che chiuderanno un cerchio che non finirà mai di ampliarsi.

Un ringraziamento particolare a chi mi è stato accanto semplicemente perché gli andava di fare così.

Si riparte: brava me.

-o-o-o-

*** Davide ed io abbiamo vinto una dose suppletiva di zanzare cercando di seguire l'andamento della partita contro il Cesena: c'era un minimo di campo solo stando in mezzo al prato prospiciente il patio del B&B presso cui alloggiavamo. Che sofferenza. Che eroi. Che bravi. Che pirla. Che bello condividere momenti con lui :'-) Un ringraziamento particolare a Janice e a Franco che ci hanno tenuti aggiornati nonostante le (nostre) difficoltà del caso.

lunedì 27 aprile 2015

Forse muoio, ma anche no.

... alla fine mi sono alzata e sono andata a vedermi allo specchio e, FINALMENTE, stavo piangendo.

Non mi era mai successo di vedere così tante persone piangere di felicità.

O forse mi era già successo, ma questa volta c'era il valore aggiunto della presenza di mio figlio in quell'oceano granata che non cessa mai di stupirmi, neppure quando si ripropone uguale a se stesso, identico in tutte le sue diversissime parti.

Ho voluto bene a tutti*** per un cristallino istante lunghissimo.

Non sono in grado di raccontare il derby di ieri, no.

Sono in grado di fare un elenco di momenti che non scorderò MAI:
  • aver detto ad un Fratello, prima ancora di entrare dentro lo stadio, che avremmo vinto
  • contestualmente sentire il Fratello irrigidirsi come se avessi appena detto di tifare giuve
  • aver riabbracciato tre Sorelle che non vedevo da tempo perché, a volte, i percorsi della vita sono un po' ingarbugliati
  • essermi incazzata per la calma olimpica di mio figlio che era certo che avremmo vinto
  • aver abbracciato un Fratello che faceva la coda per andare in bagno e aver finalmente stretto la mano ad un altro Fratello che conoscevo solo virtualmente e che era in coda davanti al primo
  • aver abbracciato un Fratello scoppiato in lacrime e poi abbracciarlo di nuovo perché quelle lacrime non finivano più
  • ricevere la telefonata di papà che voleva sapere se Davide ed io stessimo bene (noi non sapevamo ancora della bomba carta, lui sì)
  • sentire la voce allegra di mamma dopo la partita
  • ad ognuno dei due goal avvolgere mio figlio fra le braccia gridando fino a farmi male all'esistenza ed essere avvolta dalle sue braccia
  • pregare. Ho passato gli ultimi undici minuti a rivolgermi a non so bene quale divinità, dicendole a mo' di mantra: "Faccela vincere, faccela vincere questa, dai"
  • sentirmi scivolare via vent'anni dal groppone, diventare per un attimo eterna, ripiombare sulla terra e, con il mio quasi mezzo secolo di vita, sapere per l'ennesima volta di essere stata scelta da quel colore che spesso è davvero l'unico colore che abbia un senso di esistere
  • sentirmi GIUSTA
  • varie ed eventuali (che verranno fuori poco per volta, ma non adesso, non adesso...###)

Ad ogni derby perso in questi tanti anni, non ho potuto mai fare a meno di dire a me stessa: "Un giorno in meno al momento in cui lo vinceremo di nuovo."

Continuo a dirmelo, me lo sono detto anche oggi... ma con tonalità totalmente diverse.

Perché tutto cambi, tutto deve rimanere uguale, insomma.

E questo è quanto.

W il Toro, sempre.

-o-o-o-

*** Tranne che ai gobbi, ça va sans dire.
### Sic.

sabato 25 aprile 2015

Dai.

Cara Amica mia,

ti scrivo per raccontarti un mese denso e liberatorio, ricolmo di luci e di ombre, ricco di dinamiche che hanno fatto di me un'altra persona o, più semplicemente, mi hanno fatto conoscere altri aspetti di me che erano lì, sono sempre stati lì, ma non avevo dato loro spazio.

Forse non ero pronta, forse pensavo di non poter ancora crescere, forse... chi se ne frega.

Ci sono state buone - ottime notizie - sul fronte della salute: alla Quercia Granata è stato detto di avere la possibilità di deporre le armi. No, non per sempre... il 'per sempre', quando si parla di essere umani, non esiste.

Ti ricordi di quando mi ero innamorata di Alessandro Magno? Bene, più delle sue strategie di guerra, più del fatto che avesse conquistato il mondo ai suoi tempi conosciuto, più del numero delle imprese compiute in un ristretto limite di tempo, mi colpiva il pensiero che anche lui sicuramente avesse momenti in cui di armi non volesse neppure sentir parlare.

Lo immaginavo durante le notti prima o dopo le battaglie, nella solitudine della sua tenda di accampamento. Lo immaginavo ascoltare il silenzio, uscire dalla tenda e guardare verso il cielo per scrutare le stelle solo per il gusto di guardarle, senza cercare presagi, segnali o altro, così: in pace con se stesso.

La Quercia Granata adesso è come quell'Alessandro Magno lì: può scrutare il cielo semplicemente perché c'è.

C'è il cielo e c'è la Quercia Granata: tanta roba, TANTA.

Ciò detto, passiamo oltre.

Durante una peregrinazione presso la casa dei miei avi mi sono imbattuta in una cartellina piuttosto macilenta, che conteneva fogli e foglietti su cui usavo, in un'altra vita e in un altro tempo (trent'anni fa, insomma), scarabocchiare.

Sai una cosa? Io non sapevo, io non ricordavo (dramma), di saper disegnare. Avevo rimosso totalmente dalla mia mente di saper dare vita, con carta e carboncino, ai miei pensieri (spesso lugubri),

Superato lo sbigottimento e sorriso per lo stupore dei miei figli nel vedere quei reperti archeologici dopo avermi sempre sentito dire "io disegno come una capra ubriaca", ho ripreso il carboncino in mano ed ho provato a (ri)conoscermi e ora tormento chiunque con quelli che, per me, continuano ad essere scarabocchi, ma per altri sono fonte di gioia.

Ci vorrà un po' di tempo prima che io (ri)faccia totalmente mia questa mia nuova vecchia parte di me... bene: le cose nuove, per quanto vecchie, non mi spaventano.

La chitarra continua ad essere una fedele compagna di percorso anche se non supererò mai la fottuta frattura dello scafoide (che cazzo di nome) dello scorso anno: quando suono è gioia e dolore, luce e ombra (di nuovo), mai un attimo di pace, insomma.

A volte la imbraccio e gioco a perdermi in quei suoni così interlacciati con il mio essere e riesco - non sempre - a far finta di non avere male, a volte il dolore è così forte da paralizzarmi il respiro e allora... e allora l'appoggio al muro e rimango a guardarla chiedendole/mi scusa e poi sorrido perché so di non avere paura di nuovi dolori e dunque la imbraccerò di nuovo, magari un'ora dopo, magari due giorni dopo, magari subito perché il dolore è così simile al piacere e... santa Dea, che casino di persona sono...

Nel frattempo capitava il derby, il derby che si giocherà domani, ma capita già da qualche giorno: sguardi in cagnesco, telefonate che perdono il solito tono diplomatico, cose così.

Il derby capitava mentre la Quercia Granata tirava un po' il fiato, io (ri)scoprivo di saper disegnare e smadonnavo suonando e piangevo un po'.

Piangevo un po'? Manco per il chips.

Ho disimparato a piangere.

Solo il Toro e il blues sembrano riuscire a connettersi con le mie ghiandole lacrimali: che roba, eh?

E ora sto qui davanti a questo monitor a raccontarti di me, di un mese denso e liberatorio, e vorrei poterti guardare negli occhi mentre ti scrivo tutte queste cose, ma lo specchio è di là e non ho voglia di alzarmi.

Ti/mi voglio bene, Amica mia che sei/sono io... ti/mi auguro di inondare questa tastiera di lacrime e di 'non ci credo' dopo le cinque della sera di domani e ti/mi auguro di continuare a credere nel futuro: riserva sempre sorprese e spesso sono sorprese piacevoli.

-o-o-o-

A me stessa e a chi sappia vedere E guardare dedico Since I've Been Loving You: mi fa tremare i polsi ed è un gran bel tremare. Cercatela, magari acquistatela, e andate in pace: parte della mia pace, oggi, è quella di non cercare né proporre link. Rendiamoci tutti indipendenti, suvvia... anche dal pensiero di non vincere un derby da qualche lustro.




sabato 28 marzo 2015

Quel che mi ha insegnato

È uno dei tanti pezzi di vinile che mi girano per casa da decenni e, come dicevo qui, è il mio preferito.

Ho realizzato poco fa che Houses Of The Holy mi ha insegnato ad amare la luce.

Fosse per me vivrei di notte ed eviterei accuratamente di interagire con chiunque durante il giorno... eppure anche il sole e la luce hanno un valore grande nel mio cammino per il mondo.

Me l'ha insegnato proprio quel vinile lì.

Felicemente nell'universo da quarantadue anni, splendidamente Maestro lungo il mio percorso.

Ogni nuovo ascolto è rinnovare emozioni antiche e scoprirne di nuove.

Ah, amo gli amori eterni...




lunedì 23 marzo 2015

Sì, viaggiare

Il viaggio non è altro che recuperare e scoprire nuove parti di sé, sentire di essere a casa ALTROVE.

Io ho trovato alcuni interessanti spunti di ALTROVE qui:

www.thewildandthecity.com

C'è anche la pagina su Facebook: thewildandthecity

Buon viaggio a tutti e grazie a Franco Borgogno per condividere il suo ALTROVE con noi.




venerdì 20 marzo 2015

Carola

Il giorno dopo Toro-Zenit


Ciao Carola,

quella lì sei tu: è il 26 febbraio di quest'anno, hai quasi nove mesi, sei in braccio alla tua mamma e siete al San Mamés.

È il tuo esordio allo stadio e ancora non sai che stai per essere testimone di una sera di meraviglia, di stupore, di canti, di forza, di tutte quelle sfaccettature che fanno del Toro quello che è: una vena indistruttibile di speranza.

Tua mamma mi ha detto che ad un certo punto ti sei perfino addormentata: evidentemente eri a tuo agio.

Di Sonia, la tua mamma, ricordo con tenerezza una chiacchierata sotto la neve durante l'intervallo di Toro-Lazio di due anni fa... e non ricordo quasi il nostro primo contatto, non ricordo quando ci siamo conosciute... so che ci siamo TROVATE e si è creato un legame forte.

È stata grande la mia gioia nel darti il benvenuto in questo mondo che sarebbe tanto semplice se non fosse affollato da tristoni, ma questo è un altro discorso e lo faremo un'altra volta... o magari non lo faremo affatto. Vabbe'. Porta pazienza, Carola, questa specie di zia si perde in se stessa e, per ora, riesce a ritrovare la strada.

Quella nella foto sei tu e sei stata protagonista - sì! - di una sera che ci rimarrà a lungo nel cuore.

Io ti avverto, Carola: rimarrà a lungo anche nel tuo cuore di testimone e partecipante inconsapevole.

È una sera che ti verrà raccontata e riraccontata e quando l'avrai fatta completamente TUA la racconterai e la riracconterai.

Io spero che il Toro ti scelga, Carola, te lo auguro con tutto il cuore.

Il Toro non è una malattia (checché si canti) né una maledizione, il Toro è il Toro. Non te lo posso spiegare a parole, non te lo può spiegare nessuno... ma lo riconoscerai.

Sai, ieri sera io ero allo stadio con mio figlio Davide: lui ormai è un ragazzone, mi sovrasta fisicamente e mi sorprende per la sua passione. Il suo percorso nell'essere scelto dal Toro è stato un po' tortuoso, ma l'ha portato ad un punto di partenza.

Buffo, no? Di solito quando si arriva da qualche parte si è al traguardo. Per NOI è diverso: noi arriviamo al punto di partenza e da quel momento in poi succedono eventi che mettono alla prova le coronarie, prosciugano le ghiandole salivari, fanno tremare le mani e tutta una serie di manifestazioni fisiche che non sto a raccontarti perché, cara mia, le vivrai anche tu e le riconoscerai una ad una.

Ero allo stadio con Davide, ti dicevo, e... niente: c'era una FORZA enorme che quasi mi schiacciava e di cui ero parte io insieme con lui, insieme con tutti gli altri, insieme, insieme come le dita di una mano, insieme come una cosa sola.

Non ti racconto nulla della partita di ieri sera però ti voglio dire di quanto AMORE sia scaturito da tutti NOI.

Ti voglio però dire che, scese le scale per uscire dallo stadio, Davide mi ha abbracciato ed io mi sono abbandonata a lacrime e singhiozzi come non mi accadeva da troppo tempo.

Ti voglio dire che Davide ha voluto raccontarmi di che cosa sia il Toro per lui.

Ti voglio dire che non sono stata l'unica a piangere.

Ti voglio dire che questa mattina raccontavo gli eventi di ieri sera a mia madre e pure lei, molto più britannicamente controllata di me, aveva la voce condita di lacrime.

Non solo di lacrime ti voglio dire, Carola, no.

Ti voglio dire della magia di un applauso che riecheggia ancora adesso e di quell'AMORE, amore monumentale per i nostri Ragazzi, per la Maglia che indossavano, per chi c'era, per chi non c'era, per chi c'è stato, per chi ci sarà.

Poco prima di uscire dallo stadio Davide mi ha detto: "Mi mancherà lo stadio così pieno."

"Basta anche solo uno di NOI per riempirlo," gli ho risposto.

Ieri sera eravamo UNO solo, Carola.

Non so se questo basti per spiegarti il Toro, credo di no... è il mio pezzettino di Toro, quello che ti offro.

Ci vediamo allo stadio, piccolina, prima o poi: ho tanta voglia di riabbracciare tua mamma e di conoscerti anche di persona (il mio cuore ti conosce bene).

No, non sono triste... sono quella che sono e sono del Toro.

Oggi ancora di più.

Ogni volta ancora di più.

Ciao Carola, cresci bene, cresci forte, (se possibile) cresci del Toro: è una fatica immane, ma - credimi - è rinascere ogni volta anche quando pensi che non ce ne sia proprio più.

Un bacio in fronte a te e un bacio in fronte anche a Davide che ieri sera, poco prima di addormentarsi, mi ha detto: "Domani vado a scuola con la sciarpa del Toro."

Forza Toro sempre.


venerdì 27 febbraio 2015

Indimenticabile

Sapevo che sarebbe stata una settimana destinata a diventare indimenticabile, quello che non sapevo è che sarebbe successo tutto nel giro di due giorni.

Sapevo che sarebbe arrivato finalmente Physical Graffiti (il remaster, zio cane... quello che mi ha ingenuamente/perfidamente chiesto: "Ma scusa, non ce l'avevi già? Assurdo... pensavo che avessi tutti i CD [sic] dei Led Zeppelin, evidentemente non sei una vera fan..."... be', il tipo è finito in Purgatorio senza passare dal via) e sapevo che il Toro avrebbe giocato a Bilbao.

Sapevo che stringere Physical Graffiti fra le braccia - ogni vinile, per nuovo o vecchio che sia, è un bimbo da amare - mi avrebbe fatto camminare per gli spazi siderei e sapevo - qui sbagliando - che sarei stata un po' distratta dal pensiero del Toro in terra Basca.

La copertina nuda e il companion disc
Mercoledì, poco dopo le 11, è arrivato e ci siamo studiati a lungo.

Gli ho fatto le foto di rito.

Sentivo risuonare nell'anima, come note note ed anche ignote (ahaha, che simpatica), le chicche del companion disc - già ricevuto in mp3, già diventato parte di me, ancora una volta, questa volta per sempre.

"Non ho più adrenalina per la partita di domani," dicevo a me stessa, sperando di star raccontando una balla.

"Non ho più adrenalina per la partita di oggi," dicevo ieri perché - scherzi della mia natura selvatica e imprevedibile - intorno alle 18 ero ancora tranquilla come una pasqua, ma verso le 19... sentivo crescere qualcosa di familiare dentro.

Iniziavo a far fretta a tutti in casa: figli, marito, gatta.

Poi arrivava l'ora X e Davide ed io ci mettevamo in postazione: da lì non ci saremmo scollati se non in occasione del rigore, dopo i goal e alla fine della partita.

In mezzo: il delirio.

Guardando la partita chattavo con Janice (di Janice vi parlerò in un pezzo apposito in futuro: è una delle persone più granata che mi sia stato dato di incontrare, nonché una bellissima persona sic et simpliciter) e soffrivamo e godevamo insieme, chattavo con un Amico (non importa chi sia: sono quotidianamente grata per il fatto che esista) e farneticavamo insieme a colpi di 'Diomadonna!', 'non è possibile', 'piango', 'suca', 'non respiro per non cambiare posizione', 'cazzocazzocazzo' e altre amenità.

Amiamo anticipare i tempi e i luoghi
Prima della partita, per orgoglio mio personale, esibivo in pubblico una foto della Bandiera, dei miei virgulti e di me medesima, scattata a Bilbao nell'estate del 2013 e Fra' mi scriveva: "Bisogna sempre essere avanti. Se fossi passata da Varsavia, sarei tranquillissimo stasera. Forza Toro, Silvia".

È stato dopo aver letto quelle parole, caro Fra', che mi è scattata la carogna bella, quella roba granata che fa dare pugni nell'aria e l'aria si dilegua ancora prima di essere colpita.

Il delirio, dicevo.

Sentivo tutti i mali del mondo percorrermi il corpo a causa dell'autoimposta immobilità, perfino una leggera pressione a livello del plesso solare che mi faceva temere di non arrivare viva alla fine della partita.

E invece ci arrivavo viva.

Addirittura più viva di due ore prima.

Non so come si chiami questa specie di miracolo, il miracolo di sentirsi ancora più vivi, ma so che è qualcosa di ricorrente in questa mia/nostra storia con il Toro.

La mia/nostra storia con il Toro, il Toro che fa la storia, la storia che - come amo spesso dire - si ripiega su se stessa e via: pronti per andare incontro al futuro.

Oggi, oggi che è il giorno dopo, oggi è il giorno in cui arrivano i complimenti da strisciati di varia estrazione, arrivano complimenti sinceri, oggi non c'è ancora traccia di sangue nella mia adrenalina.

Mi risuonano in testa le parole che mi ha detto mio figlio uscendo da scuola: "Sai, mamma, oggi sono andato a scuola con la sciarpa di Toro-Bilbao. Giulia invece è andata con quella tutta granata."

Purtroppo la mattina esco di casa prima che i miei figli si sveglino, per fortuna stanno diventando abbastanza grandi - e mi riferisco alla grandezza dell'anima, l'età non c'entra nulla - da fare scelte e la loro scelta comune di oggi è stata quella di portare altro granata in giro oltre a se stessi.

Oltre a se stessi.

Belli, i miei figli, belli: mi insegnano ogni giorno qualcosa in più sull'Amore e anche sul Toro.

Bello, il Toro, bello: mi insegna ogni giorno qualcosa in più sotto i più svariati punti di vista.

Physical Torino.

Che settimana devastantemente indimenticabile.


venerdì 20 febbraio 2015

L'uomo seduto e tanto amore

Lo riconosci dai movimenti impacciati e lo sguardo di chi è pronto a far polemica, ma non sa fino a che punto può spingersi.

Sulle scale legge i numeri delle file, trova la sua, torna a leggere e questa volta tocca ai numeri sui seggiolini, poi gonfia il petto e si siede.

Si guarda intorno piuttosto infastidito da tutta la gentaglia che sta in piedi e si agita.

Prova diverse posizioni di seduta e poi trova la migliore: piedi per aria e braccia conserte.

La gentaglia lo guarda e alza le spalle: alcuni sono occasionali stadiescamente parlando, altri sono occasionali ipercontrollati che se ne fottono bellamente dell'occasionalità stadiesca altrui.

Durante la partita spesso si volta per capire come mai la mia sciarpa gli sventoli sul muso, gli finisca la cenere delle mie sigarette sul giaccone, le mie ginocchia con inesorabile cadenza affondino poco sotto le sue scapole.

All'inizio dell'intervallo si volta e mi scruta con odio.
Gli restituisco lo sguardo e da quel momento ci si ignora: forse è un accontentista, forse pensa di incutere timore, forse... vabbe', sicuramente è del Toro - nell'anima - quanto me, ma la tentazione di dirgli: "Dove pisello eri quella volta in cui e quell'altra in cui eccetera eccetera?" è forte.

Più forte è, però, il senso di meraviglia, di nostalgia, di stupore, di condivisione, di siamo Noi quelli del Toro, e allora... allora è pace.

Pace.

Mi volto verso dappertutto e dappertutto siamo Noi quelli del Toro, guardando meglio alla mia sinistra c'è mio figlio, mio figlio Nostro Signore della Razionalità, mio figlio e il suo sguardo stupito, il suo sguardo commosso, il suo sguardo che dice... no, non è il suo sguardo: è proprio la sua voce. La sua voce che dice: "Mamma, non ci credo..."

"Mamma, non ci credo..." me lo dice da quest'estate, da quella prima partita in cui c'era il grande tondo giallo a centrocampo e la musica epica. Gli vengono gli occhi più grandi (E.T. in pratica) e le fossette sulle guance.

Ci sono sorrisi che sono diversi, che sono più grandi, che partono da tempi in cui chi li produce non c'era ancora... Davide, ieri io ero di nuovo quella che era andata a vedere Toro-Real Madrid ed era uscita dallo stadio urlando per la gioia e per la Luna Piena e anche se ieri la Luna era invisibile (Luna Nuova) la sentivo andare su e giù per le vene come un veleno benefico.

Ero di nuovo quella ragazza.

Era tutto possibile.

TUTTO.

Tu ieri sera eri lì ad emozionarti di Granata con e come me perché, in tutti questi anni altalenanti e spesso dolorosi, io non ho mai smesso di credere ed ho lasciato sempre spazio alla speranza e al futuro e tu, mia meraviglia dotata di grandi ali tutte tue, ti sei lasciato scegliere da questo Amore Grande.

Siamo molto diversi (evviva!) ma abbiamo in comune la voglia di vedere oltre, di vedere ancora, di essere lì, di non amare le comodità, di stare alzati, di non appoggiare i piedi per aria, di usare i piedi per saltare perché non siamo biancomerdi.

Uomo Seduto, io ti stimo in quanto Fratello, ma dai retta ad una donna anziana: quando si va a casa di qualcuno, si osservano le usanze locali. Lo ha capito mio figlio, che ha ancora tanta vita davanti a sé, fai il piccolo sforzo di farlo anche tu. Magari ti può sembrare difficile... e invece è semplice (semplice, non facile: ti è chiara la differenza?). Sei riuscito a stare in piedi nel secondo tempo, fallo anche nel primo tempo la prossima volta, va bene? Bravo.

Ieri sera.

Una di quelle sere di cui parlare quando avremo di nuovo freddo.

Adesso c'è un bel tepore e me lo voglio godere.

Magari giovedì prossimo il tepore si sarà trasformato in gelo siberiano, ma - onestamente - non me ne può fregare di meno.

Non adesso.

No, non adesso.

Adesso sto in maniche corte, guardo quello che ho dentro e ho tutto i motivi per dedicare ogni minima stilla della mia energia a CREDERCI.

Quel che sarà lo si affronterà nel momento in cui sarà necessario farlo, nel bene e nel male (mia regola di vita numero 11).

Il Toro.

Punto.

sabato 14 febbraio 2015

1940

Gli si avvicina con il passo deciso che riesco ad immaginare senza fatica perché la conosco da quasi mezzo secolo: è il passo di chi ne ha viste troppe nella vita eppure resiste come gli alberi in perenne battaglia con i venti dell’oceano… e quanta fanfara sto facendo: si tratta 'solo' della Stefi in un normale giorno di lavoro in ospedale.

Lui è coricato e ha lo sguardo scocciato di chi vorrebbe essere altrove. Indossa un pigiama granata, ma questo è un dettaglio secondario.

Lei gli fa le domande di rito e lui risponde raccontandole di sintomi e di vita: “Io da giovane ho fatto molto sport: giocavo a rugby. Poi sono diventato allenatore di una squadra di rugby. Il rugby è lo sport più bello del mondo.”

“Non le interessa nessun altro sport?”

“No, anche se… quando avevo nove anni…”

Lei intuisce, intuisce di quell’intuito che io so, che NOI sappiamo, e con gli occhi si getta fulminea sulla data di nascita del paziente: 1940.

Allarga le braccia e gli dice: “Fratello!”

Lui prosegue: “…. mio padre entrò in casa con le lacrime agli occhi… ‘Sono morti tutti, sono morti tutti…’ diceva…. e non riusciva a smettere di piangere… no, non mi interessa il calcio, non mi è mai interessato… ma quella squadra lì mi entrò nel cuore e lì è rimasta…”

Lei è scossa ed è felice ed è orgogliosa ed è quel groviglio che io so, che NOI sappiamo, e… e non c’è niente altro da dire.

Come parlare di Toro senza nominarlo, emozionarsi per l’ennesima volta, e comprendere – ancora ed ancora ed ancora – che esiste qualcosa che non potrà mai scomparire.

Viva la retorica, viva chi non dimentica, viva chi ha ancora voglia di accogliere le emozioni, viva chi è stato sfiorato dal Toro e ne è stato rapito, viva chi è stato rapito dal Toro e ne vorrebbe fuggire, viva chi pensa di essere più del Toro degli altri... ah, no: questi ultimi se ne vadano pure a fare in culo (è San Valentino: la festa del'Ammmore)... dov'ero rimasta? Non importa... viva la Stefi che mi ha raccontato questo suo pezzetto di vita mentre ero affossata su un sedile di un vagone della metropolitana e mi ha trasformata in una creatura dalla schiena improvvisamente dritta e con la faccia percorsa da lacrime.

Lei è la mia Amica da sempre: io sono fortunata.

Questa è tutta per te, Stefi: gli altri non lo sanno, ma a noi racconta di notti fra le colline, notti in cui forse siamo riuscite ad andare oltre certe disperazioni.