sabato 30 settembre 2017

Il libro dell’infanzia [parte 2 di 2]

tramonto bretone 12 08 2017
Il penultimo tramonto bretone che ti ho raccontato, mamma

 

"Ciao, ti devo dire subito una cosa."

Lo dice con la voce affannata di un affanno bello, gioioiso, quasi infantile.

"Dimmi tutto."

"Allora... la maestra Anna mi ha detto che hanno ridipinto le aule della scuola elementare, una diversa dall'altra e, pensa un po' che roba, una delle aule è dedicata al Toro!"

"Ma va là!"

"Ma sì! Anna sta organizzando una visita: non vedo l'ora..."

Giro giro tondo
Casca il mondo
Casca la terra
Tutti giù per terra

"Silvia."

"Madre."

"Se oggi non rispondo al telefono è perché vado a vedere l'aula del Toro."

"Va bene, poi mi racconterai."

La telefonata successiva non è quella di una gentile ma arzilla signora di oltre ottant'anni, no no... è quella dell’indomita ragazza e poi donna che avevo visto crescere mentre crescevo anche io.

"Sapessi...", "E poi...", "Ma una roba, una roba, una roba..."

La ascolto beneficamente travolta dall'energia che mi comunica e mi intenerisco per le parole che esprime per Aldo.

Chi è Aldo? Oh, be'... Aldo è un pittore che non è un pittore che è un pittore.

Aldo è colui che ha dipinto le aule della scuola elementare e che ha scelto, con il cuore, di dedicare un'aula al Toro.

È importante ricordare che Aldo è un pittore che non è un pittore che è un pittore, néh? Importantissimo.

Bene.

Mamma e Aldo parlano del Toro, vicendevolmente rapiti dall'amor comune per il granata e poi ciao ciao, arrivederci, grazie, prego.

Dopo qualche giorno mi chiama di nuovo con la voce affannata di un affanno bello, gioioiso, quasi infantile.

"Ti chiedo un consiglio. Vorrei fare un dono ad Aldo per ringraziarlo per la sua opera: che cosa ne dici?"

"Mi sembra un'ottima idea!"

"E poi vorrei scrivere un biglietto che inizia così: 'Da sorella Granata a fratello Granata...'... ma ho paura di esagerare: dici che va bene?"

"Sì, mamma: sei nel pieno rispetto della liturgia granata. Brava!"

Nei giorni successivi Aldo riceve una sciarpa del Toro e un biglietto di ringraziamenti dalla mia mamma e la storia finisce lì.

Nah: la storia prosegue.

La mia mamma vola in cielo, i giorni sono strani ed alieni.

Dario, un mio caro cugino, mi invia la screenshot di un post, che Aldo ha pubblicato su Facebook (maledetta/benedetta agorà), la cui chiosa è: "In quel momento mi viene in mente una cara persona scomparsa pochi giorni fa che mi scrisse un bel biglietto..iniziava così...'Da sorella Granata a fratello Granata....'".

Mi viene la pelle d'oca alta mezzo metro, le vertigini, la voglia di urlare che la mia mamma mi manca da morire, una strana felicità nel saperla amata anche da chi l'ha conosciuta per pochi attimi.

Mi faccio coraggio - io sono timidissima, che ci si creda o meno - e contatto Aldo.

Chiacchieriamo quel poco che basta per saperci parte della - rullo di tamburi da momento retorico - Famiglia Granata.

Mi chiede dove sia sepolta, mi dice che andrà a visitarne la tomba.

E ci va.

Aldo va a visitare la tomba di mamma e poi mi scrive di averle lasciato un dono, ma di temere che qualcuno lo porti via.

"Non ti preoccupare, Aldo: ci penso io."

Chiamo immediatamente la maestra Anna (io la chiamo 'la maestra' perché tale è, ma è soprattutto un'Amica e una persona di rara sensibilità e intelligenza) che si fa carico di passare dal cimitero.

Anna mi chiama la sera e, con voce rotta dal pianto, mi dice: "Aldo ha lasciato... ha lasciato un libro sulla tomba di tua mamma. Aspetta, ti dico il titolo... 'Gigi Meroni...'"

"... Il Ribelle Granata. Scritto da Marco Peroni, illustrato da Riccardo Cecchetti."

Sto piangendo.

"Lo conosci? Ma non finisce qui, Silvia, ascoltami: Aldo ha fatto un disegno sulla prima pagina del libro... è una meraviglia... e ha scritto una dedica..."

"Puoi leggermela, per favore?"

aldo

La telefonata prosegue per qualche altro minuto, ma sia Anna sia io siamo sopraffatte da qualcosa a cui non sappiamo dare un nome e che fa bene e fa male contemporaneamente.

Il libro mi viene consegnato da Anna qualche giorno dopo ed ora è qui, sulla mia scrivania, fra gli oggetti cari.

La bella lavanderina
che lava i fazzoletti
per i poveretti
della città

Il mio papà e la mia mamma non ci sono più e la loro assenza è devastante, pur tuttavia li sento riecheggiare in me e - meravigliosa meraviglia - in quelli che hanno saputo e/o voluto amarli, stimarli, apprezzarli.

Mamma, papà: ho chiuso il libro dell'infanzia.

Improvvisamente mi rendo conto di quanto possa essere divertente la maturità e allora vado avanti per la mia strada: grazie per avermi insegnato quali siano i punti cardinali.

Pensavo di esser persa senza di voi e invece grazie a voi riuscirò - a volte con fatica e a volte no - a ritrovarmi.

Così sia.


 

Un monumentale ringraziamento a:
- Aldo per l'umiltà e la sensibilità con cui va per la sua strada
- Anna perché è Anna
- Mio cugino Dario perché quando raramente ci incontriamo mi dice il suo affetto e io gli dico il mio
- Quelli che qui non menziono perché sono pigra
- Il Toro (quello che mi hanno insegnato mamma e papà)

venerdì 22 settembre 2017

Il libro dell’infanzia [parte 1 di 2]

mamma e io piccola
Non ha mai smesso di guardarmi con quell'amore lì. Mai.

 

Fai un salto
Fanne un altro
Fai la riverenza
Fai la penitenza
Guarda in su
Guarda in giù
Dai un bacio a chi vuoi tu

Avevo chiuso Pagina Infinita? E mo' la ricomincio, ricomincio da zero, zero come il numero di genitori che mi sono rimasti.

Mannaggia, che caratteraccio, che modo brusco di dire le cose...

Ci sono cose che non cambiano mai: una di queste è che continuo a chiamare le cose con il loro nome. Vabbe'.

Non so da dove iniziare né come procedere, allora vado in ordine sparso.

Il giorno dopo aver chiuso Pagina Infinita ero stata investita da un metaforico treno di cui preferisco non esporre i dettagli e stavo per lasciarmi andare ad un'enorme sfiducia nei confronti del futuro. Ho/abbiamo fatto, strafatto e brigato, e forse ho/abbiamo ragione di credere di potermi/ci risollevare dalla questione in oggetto. Quale questione? Ah, oh, uh: una questione pesante. Punto.

Con l'anima a pezzi e la stanchezza fisica e mentale di una porella che non ha mai tregua, si era deciso comunque di andare a trascorrere qualche giorno in Bretagna.

Ah, la Bretagna... quasi la mia seconda casa: i suoi alberi aspri, il suo oceano multicolore, il suo sidro fresco e frizzante, il suo vento delicato. Sì, sicuramente mi avrebbe fatto bene.

Mi ha fatto così bene che dormivo come un ghiro, tipo svenire prima delle ventidue e recuperare i sensi nove ore dopo: robe mai provate dalla sottoscritta.

Lo raccontavo, un po' stupita, a mamma durante la solita telefonata delle sette e mezza, cui faceva seguito la telefonata delle diciassette per raccontarle di quanto i nostri sensi avessero raccolto durante la giornata.

Lei era tanto contenta che io riuscissi a riposarmi...

Con mamma, da quando era mancato papà, funzionava così: ci sentivamo alle sette e mezza e alle diciassette. Sempre. Tre volte era successo che non rispondesse e si era scatenato l'inferno.

La prima volta: aprile 2016. Chiamo, richiamo, chiamo ancora. Niente. Chiedo ad una persona di fiducia di andare a verificare e... era al piano superiore a mettere a posto chissà che cosa e non aveva portato il telefono con sé.

La seconda volta: gennaio 2017. Chiamo, richiamo, chiamo ancora. Niente. Chiedo ad altra persona di fiducia di andare a controllare e... stava chiacchierando con le amiche dopo la messa e non aveva sentito il cellulare.

Che persona ansiosa e ansiogena (io).

La terza volta: il 12 agosto di quest'anno. Chiamo, richiamo, chiamo ancora. Niente. Chiedo consiglio a mio fratello, che mi dice di mandare la persona di fiducia della prima volta a capire se sia successo qualcosa e... era al cimitero con le amiche, la suoneria del cellulare al minimo, le chiacchiere, "Scusami, Silvia, d'ora in poi terrò il cellulare in un marsupietto così non mancherò di rispondere..."

Ripeto: sono ansiosa e ansiogena.

Eppure sentivo qualcosa nell'aria, qualcosa di fastidioso e acre, ero sempre nervosa come un gatto prima del temporale.

Facile dirlo adesso, eh? Eppure era così.

Nella telefonata pomeridiana del 12 agosto mi aveva detto che sarebbe andata fuori a cena con le amiche. Mi rendeva felice saperla propositiva e progettuale, ma il giorno dopo mi aveva detto che era andata a casa presto perché le era venuta la malinconia.

La malinconia.

Nelle ultime settimane mi parlava spesso della sua malinconia: le mancava papà e tutta la gioia che metteva nel parlare del futuro (a settembre, adesso, avrebbe voluto portare le sue amiche a Superga) era resa opaca dal velo dell'incompletezza che papà le aveva lasciato insieme con la sua assenza.

Era diventata anche più dolce, più aperta nell'esprimere i propri sentimenti: una tenera vecchietta con la forza dell'indomita ragazza e poi donna che avevo visto crescere mentre crescevo anche io.

Il giorno dopo mi aveva detto che era andata a casa presto perché le era venuta la malinconia, giusto? Giusto.

Il pomeriggio del 13 agosto ci eravamo sentite ancora e mi aveva raccontato della morte di Maria, un'amica di famiglia, e del fatto che l'avesse vista il martedì e le avesse dato dell'uva.  Poi ci eravamo dette le solite cose e pimpiripettennusa, pimpiripette pam ci eravamo salutate: "Fai la brava", "Anche tu", "Ciao, Mamma", "Ciao".

Ciao, Mamma.

Lunedì 14 agosto

Poco prima delle sette partiamo dalla Bretagna per tornare a casa. Mi riprometto di chiamare mamma alla prima sosta. La chiamo alle otto: non risponde.

La chiamo alle otto e mezza: non risponde.

La chiamo alle nove: non risponde.

La chiamo alle nove e mezza: non risponde.

Dentro di me faccio due più due e il risultato è quattro.

Ma non può essere, dai... ci sarà una spiegazione, non posso pensare sempre male... eppure...

La chiamo alle dieci: niente.

La chiamo alle dieci e mezza: niente.

Boh, magari è andata prima al cimitero e poi al funerale di Maria... eppure...

Continuo a chiamarla ogni mezz'ora, sul fisso e sul cellulare, ma niente. Faccio di nuovo due più due e il risultato è sempre quattro, ma mi aggrappo al fatto che una spiegazione ci sia.

Alle dodici e trenta capisco che non ci sono spiegazioni, anzi: che ce n'è una sola.

Sono nel bel mezzo della Francia e chiamo mio fratello, chiedendogli scusa per il mio essere ansiosa e ansiogena, ma... ma parte e va da lei.

Tocca a lui trovarla.

Tocca a lui chiamarmi.

Io sono in mezzo alla Francia, in un cazzo di ingorgo, e mia mamma è morta.

Il primo pensiero è totalmente autocentrato e autoreferenziale: perché il fato mi ha fatto perdere entrambi i genitori in poco meno di due anni? Perché?

PERCHÉ?

E poi i chilometri si susseguono, le ore pure, la sera arriviamo a casa e lei dorme, dorme serena, dorme nella sua scatolina di legno.

Riesco solo a dirle grazie e ad accarezzarle le mani. Quelle mani che mi hanno cullata, accarezzata, sostenuta. Quelle mani che hanno preparato tante pappe per i miei figli e per i figli di mio fratello. Quelle mani.

Non dormo, quella notte.

Non mangio quasi, il giorno successivo.

Poi arriva il giorno del funerale e poi il funerale finisce e poi riprende la routine e sono stordita, sono disorientata, sono più monca di prima, cazzo.

Gli amici mi fanno muro intorno e sono loro grata: è tutto difficile.

È difficile pensare: "Adesso chiamo la mamma e glielo dico... ah, no."

È difficile vivere il (quasi) senso di colpa di non pensare (quasi) più a papà.

È difficile spiegare la perversa felicità di saperli/sentirli di nuovo insieme.

È difficile spiegare il perverso senso di pace nel vedere le lapidi vicine, così come erano vicini quando erano qui.

È difficile guardarmi alle spalle ed essere capostipite.

È difficile.

In meno di due anni ho perso la persona che rispondeva a TUTTE le mie domande e la persona con cui ci si raccontava TUTTE le cose, dalle più stupide alle più profonde.

Mi sento divisa in due: una parte di me non ho più paura di niente, l'altra ha paura di tutto. Queste due 'me' camminano a braccetto, ogni tanto una prevale sull'altra, e dunque provo - di nuovo - a imparare a camminare.

Spesso fa capolino il mio sano realismo hippy che mi fa dire: "Sono stata coperta di amore da quei due, di che cosa mi lamento?"

Mi lamento di essere sola su questa terra.

Sì, lo so, non sono veramente sola, ma... ma.

Odio davvero l'Estate, stagione infame che mi ha portato via il mio papà e la mia mamma, ma questa sera arriva l'Autunno e allora magari alcune asperità si faranno più accettabili.

Venga dunque l'Autunno e che i suoi colori, le sue nebbie, le sue piogge, rendano più sopportabile e ragionevole questo vuoto.

Che cos'è il vuoto, d'altra parte? Nuova tela su cui dipingere.

Per ora basta: scrivere mi affatica, pensare mi affatica, rivivere tutto mi affatica, la fatica mi affatica, ma ci sono altre storie che vanno raccontate e le racconterò.

Soprattutto mi preme di raccontare una storia speciale che riguarda la mia mamma.

La mia mamma, il Toro e... un pittore.

A presto.

[non rileggo e invio]