Gli si avvicina con il passo deciso che riesco ad immaginare senza fatica perché la conosco da quasi mezzo secolo: è il passo di chi ne ha viste troppe nella vita eppure resiste come gli alberi in perenne battaglia con i venti dell’oceano… e quanta fanfara sto facendo: si tratta 'solo' della Stefi in un normale giorno di lavoro in ospedale.
Lui è coricato e ha lo sguardo scocciato di chi vorrebbe essere altrove. Indossa un pigiama granata, ma questo è un dettaglio secondario.
Lei gli fa le domande di rito e lui risponde raccontandole di sintomi e di vita: “Io da giovane ho fatto molto sport: giocavo a rugby. Poi sono diventato allenatore di una squadra di rugby. Il rugby è lo sport più bello del mondo.”
“Non le interessa nessun altro sport?”
“No, anche se… quando avevo nove anni…”
Lei intuisce, intuisce di quell’intuito che io so, che NOI sappiamo, e con gli occhi si getta fulminea sulla data di nascita del paziente: 1940.
Allarga le braccia e gli dice: “Fratello!”
Lui prosegue: “…. mio padre entrò in casa con le lacrime agli occhi… ‘Sono morti tutti, sono morti tutti…’ diceva…. e non riusciva a smettere di piangere… no, non mi interessa il calcio, non mi è mai interessato… ma quella squadra lì mi entrò nel cuore e lì è rimasta…”
Lei è scossa ed è felice ed è orgogliosa ed è quel groviglio che io so, che NOI sappiamo, e… e non c’è niente altro da dire.
Come parlare di Toro senza nominarlo, emozionarsi per l’ennesima volta, e comprendere – ancora ed ancora ed ancora – che esiste qualcosa che non potrà mai scomparire.
Viva la retorica, viva chi non dimentica, viva chi ha ancora voglia di accogliere le emozioni, viva chi è stato sfiorato dal Toro e ne è stato rapito, viva chi è stato rapito dal Toro e ne vorrebbe fuggire, viva chi pensa di essere più del Toro degli altri... ah, no: questi ultimi se ne vadano pure a fare in culo (è San Valentino: la festa del'Ammmore)... dov'ero rimasta? Non importa... viva la Stefi che mi ha raccontato questo suo pezzetto di vita mentre ero affossata su un sedile di un vagone della metropolitana e mi ha trasformata in una creatura dalla schiena improvvisamente dritta e con la faccia percorsa da lacrime.
Lei è la mia Amica da sempre: io sono fortunata.
Questa è tutta per te, Stefi: gli altri non lo sanno, ma a noi racconta di notti fra le colline, notti in cui forse siamo riuscite ad andare oltre certe disperazioni.