lunedì 16 maggio 2016

Non vedevo l'ora

Non vedevo l'ora che arrivasse di nuovo il Sedicimaggio, non vedevo l'ora... poi c'è stata Empoli-Nonsobeneche e mi è passata tutta la poesia.

Tuttavia, al mio risveglio questa mattina, ho deciso che avrei vissuto intimamente la gioia del ricordo di quel giorno di quarant'anni fa lasciando le giaculatorie ad altri momenti.

Volevo stare molto in silenzio, soprattutto per incoraggiare la mia testolina a tacere per qualche attimo.

E poi è successo.

È successo che un amico mi ha mandato una foto di tanto tempo fa.

Undici uomini in pantaloncini corti.

Nella fila di quelli accovacciati, il secondo da sinistra: Papà.

Bello come la Pioggia, sereno come la Luna, sorridente come la Vita (perché la Vita sorride, anche quando è bastarda).

Ho quasi avuto le vertigini e poi ho sentito un suono strano dentro di me.

Ho sentito una specie di 'crack'.

Lo stesso suono che fanno le uova quando vengono perforate da un cucciolo che si fa strada per venire al mondo.

Il cucciolo sono io.

Io.

Io che, nel momento in cui Papà si è ammalato, ho scelto di mettere in stasi le emozioni, di controllarle per non cedere sotto un peso che avrebbe potuto schiantarmi.

Le ho prese tutte, le mie emozioni, e le ho messe dentro ad un uovo, in compagnia di tutte le lacrime che non ho sfogato fin qui.

Forse oggi si stanno aprendo piccole brecce nel guscio di quell'uovo... forse oggi è il giorno tanto temuto in cui non riuscirò a contenermi britannicamente... forse oggi è il giorno in cui tutte 'ste lacrime inizieranno il loro viaggio verso il mondo esterno... forse oggi è il giorno in cui rinasco un po'.

Se il Sedicimaggio di quarant'anni fa mi avessero detto che quattro decenni dopo avrei voluto vivere questo anniversario così speciale non dicendo una singola parola in merito alla Beatitudine, avrei pronunciato la mia prima bestemmia.

Nessuno me lo disse: io di quel giorno ricordo gli abbracci, i sorrisi, la gioia, le parole smozzicate, le lacrime, la sensazione di far parte di qualcosa di così grande da non poter essere definito.

E di questo giorno, di oggi, ricorderò sempre di aver fatto il primo passo per lasciar andare tutta la tensione accumulata fin qui.

Ben vengano le lacrime, dunque, finalmente.

Sì, lo so, Papà... se tu mi leggessi adesso mi diresti: "Posso darti un consiglio? Mollala un po' con le lacrime... fai venire la pecòla..."

E allora sai che cosa faccio? Piango. Così magari mi telefoni e mi maltratti-al-miele come SOLO tu sapevi fare.

Però non mi telefonerai, mannaggia... mi manchi così tanto che a volte mi si mozza il fiato.

Grazie per avermi portato in spalla la sera dopo lo Scudetto mentre eravamo a Superga, grazie per avermi portato in spalla sempre, anche quando ti ero insopportabile ma l'amore, il TUO amore, ti rendeva le spalle così larghe da superare qualunque cosa, anche quella di avere una figlia con un carattere identico al tuo, che definire 'complesso' pare quasi una battuta mal riuscita.

E questo è quanto.

Lo Scudetto del Toro, quel Sedicimaggio là, è qualcosa che va al di là della castrante partita di sabato (tralasciando di parlare di tutto il campionato appena finito, che ha consumato qualsiasi ragionevole forza).

Sono felice di avere imparato a mettere il fieno in cascina per i tempi più duri: almeno ORA posso provare ad accomodarmi su di esso e a guardare il cielo.

So che ti vedrò in tutto ciò che mi hai insegnato: il Toro, le stelle, le nuvole, me.

Grazie, Papà: forza Toro.