martedì 18 ottobre 2016

Pallante


Chissà che cosa le è passato per la testa, chissà che cosa le passa ancora per la testa. L'ho sempre ammirata per la capacità di fare scelte e sostenerle, pur tuttavia quella volta là ha toppato di brutto. Sì, era davvero legata a mio padre, ma da lì a dover essere IO a consolarla, a cercare di colmare il SUO vuoto... nah, scuse, solo scuse, scuse per nascondere - perché mai, poi - un suo disagio interiore già in essere da tempo.

Era la mia Amica-Amica da circa cinquant'anni, circa cinquant'anni che racchiudevano affetto (grande e reciproco) e accettazione delle sfaccettature (tante e opposte) l'una dell'altra. Io di sinistra, lei di destra. Io comunicativa fino allo spasimo, lei comunicativa solo per e con pochi eletti. Discorsi fittissimi per decenni, scambi emotivi profondi, supporto bidirezionale. Il Toro in comune. Il Toro, sì. L'ho portata io al Fila per la prima volta. Era successo prima di un derby perso malamente. E poi le tante partite allo stadio insieme finché, causa ingresso nella rosa di Amauri, aveva tagliato in piccoli pezzi l'abbonamento e dato l'addio allo stadio. Allo stadio, eh? Non al Toro, quello mai. Ne sono sicura anche dopo tutto questo tempo.

Tutto questo tempo. Quanto? Tanto: quasi nove mesi. Quasi nove mesi di silenzio. Quasi il tempo per far venire al mondo un essere umano. Il silenzio era iniziato dopo un messaggio in cui si diceva affranta ma impossibilitata a partecipare al funerale di mio padre. Uhm, non era un problema. Anzi sì: era una scusa. La conosco (conoscevo?) così bene che era palese che si trattasse di una scusa. Vabbe', presenza o non presenza sua o di chicchessia le cose non sarebbero cambiate: i funerali s'avevano da fare.

Poi i giorni successivi, le settimane successive. Messaggi sempre più radi, sempre più parole di disperazione. Per la morte di MIO padre. MIO. E poi giorni di silenzio turbati solo da mie domande. "Come va?" "Come stai?" "Tutto OK?" Le risposte arrivavano dopo molte ore, dopo alcuni giorni. Capperi! Una volta ci sentivamo più volte al giorno.

Le mie riflessioni, la mia domanda: "Mi spieghi che cosa sta capitando?". Il suo silenzio, la sua risposta: "Mi sento depressa, astenica, refrattaria, vuota, piatta, disperata.

Ho tirato fuori tutta la forza di cui NON DISPONEVO e le ero stata vicina come le altre volte in cui le era già capitato di sentirsi depressa, astenica, refrattaria, vuota, piatta, disperata. Ma né la mia vicinanza né la terapia medica cui si era giustamente sottoposta sembravano sortire effetti positivi.

E poi c'era stata un'ulteriore sequenza di "Com'è?" e risposte date per pura educazione (sempre a babbo morto, eh?) e a monosillabi o plurisillabi brevi.

Purtroppo il fatto di voler essere sintetica a tutti i costi mi impedisce di raccontare questo progressivo allontanamento - NON DECISO DA ME - con dovizia di particolari che mi scagionerebbero dall'essere apparentemente una gran merda di persona perché infine giunse il giorno in cui misi la parola FINE al tutto (è doveroso, a questo punto, usare il passato remoto).

Il tutto, appunto, si concluse con la mia resa: "Smetto di fare domande. Non mi piace arrendermi, ma in questo caso lo faccio,"

Boom! Si riaccese. Si riaccese: "Speravo mi aspettassi. Vorrei che mi aspettassi."

"Porco ***, non ho detto che non aspetto, ho detto che non faccio più domande e lascio che le cose accadano. Punto."

Da allora il Nulla.

Niente, ci sono Amicizie che finiscono, semplicemente finiscono e passa davvero la voglia di farsi/fare domande. Perché non si può tirare troppo la corda, perché non si può credere che una persona forte (io, maledizione) sia sempre e solo forte, perché non c'è più niente da dire, anche se il giorno prima mille e poi mille e ancora mille erano gli argomenti di cui trattare, da sviscerare, da rivoltare, da elencare, da riservare al futuro.

Rimane una strana amarezza che con il passare dei giorni si affievolisce sempre di più, un pensiero che da fisso si fa singhiozzante, un guardarsi indietro e farsi dom... no, niente più domande.

La fine di questa Amicizia è stato uno schiaffo violento, ma benefico: mi ha permesso di alzare la testa, di guardarmi dentro e trovare un po' di rimpianto, ma nessun rimorso.

Le sono grata.

Ha fatto tanto (TANTISSIMO) per me, ho fatto tanto (TANTISSIMO) per lei. L'abbiamo fatto con naturalezza. Poi la naturalezza è morta e allora è morto il Re, viva il Re.

So che è passata da Torino qualche mese fa e ha incontrato - il caso non esiste - una persona a me cara che, abbandonando il proprio abituale riserbo, le ha chiesto di rimettersi in contatto con me. La sua risposta è stata: "Ognuno ha i suoi tempi." Molto bene: time out, da parte mia, anzi: triplice fischio e chi s'è visto s'è visto.

In un angolo del mio cuore spero che il suo stato di salute mentale sia migliorato, che non sia più depressa, astenica, refrattaria, vuota, piatta, disperata: non amo sapere che la gente soffre.

La gente.

Quella che era la mia Amica-Amica è diventata pulviscolo di gente: sic transit gloria mundi.

O come direbbe mio figlio: "Succede."

Già, succede.

Così come succede che il Toro sia tornato ad essere bello come quando il Toro è bello.

Ieri sera alla fine di Palermo-Toro ci avevo un groppo in gola. Tipo come quando sei bambino e apri un regalo sotto l'albero di Natale ed è proprio quella cosa che volevi tu e non sai se piangere o ridere e fai dei rumori strani e basta.

gary-larson-god-jerks

Ho trovato un po' disturbanti certi inviti a porre fine alla propria vita per aver messo in discussione il nostro allenatore per motivi politici, ma sicuramente, molto molto molto tempo fa, è andata come descrisse Gary Larson in una delle sue vignette più riuscite per cui non posso proprio lamentarmi.

Non la pensi come me? Ammazzati. Roba forte.

Ai miei figli ho insegnato che il pensarla diversamente coincide con la possibilità di conoscere qualcosa di nuovo: spero tanto che, quando non ci sarò più, continuino a portare questa mia peculiarità nei loro pensieri e nelle loro azioni.

Il concetto del si vis pacem para bellum non è altro che cibo di scarsa qualità per coloro che non abbiamo voglia di tirarsi su le mani per coltivare la terra e far crescere il grano con cui produrre il pane caldo della vita. Mia opinione, eh? Non la pensi come me? Pazienza. Roba forte anche in questo caso.

Ciò detto... come spesso accade ho detto tutto e ho detto niente e allora dico ancora una cosa.

Ieri al goal di Benassi mio figlio ed io ci siamo messi ad applaudire felici e contenti. Purtroppo non avevo fatto i conti con Pallante [♦] ed oggi ho avuto così male che mi veniva da vomitare. Lo Yin e lo Yang, Luce e Ombra, il Toro bellissimo e il male porco: tutto sommato nel mio mondo c'è equilibrio.

Voglio proteggerlo. Voglio proteggere il mio equilibrio, sperando non giunga mai il giorno in cui io debba difenderlo.

Bon, vado a continuare la Zeppathon in corso e a essere serena altrove.

State bravi: vi troverete bene.

[♦] Pallante è il nome con cui ho battezzato l'encondroma che mi sta divorando le ossa della mano destra. Prima o poi me lo faccio togliere, ma per ora ho altre priorità e dunque faccio buon viso a cattivo gioco. Un giorno racconterò il cattivo gioco e grande sarà lo stupore degli altri (così come il mio, perché a volte mi sembra di vivere in un film di Fellini e preferisco rimanere in una sorta di delirio da irrealtà) nel sentir narrare quelli che per ora devono rimanere misteri. Certo che mi do una grande importanza, eh? Ne ho ben donde. Tante belle cose e sempre forza Toro.