venerdì 3 ottobre 2014

La Luna è la Luna è la Luna

La incontro dopo la partita, in mezzo a quel suono particolare che si sprigiona al di fuori dello stadio dopo una vittoria.
"Sei contenta?" Le chiedo.
"Insomma..." Mi risponde.
Non capisco e non mi adeguo. Rilancio con un: "Eh?"
Non mi risponde 'ciuppa'. Rilancia con un: "In Maratona avete cantato per almeno cinque minuti?"
Trasalisco, ma non mi scompongo.
Oddea, mi prudono un po' le mani, ma faccio finta che si tratti di un'improvvisa eruzione cutanea e non la voglia di mollarle una sberla, una sberla per ridestarla dalla sua tristezza, tristezza da cui - temo - non voglia schiodarsi, neppure quando la possibilità di godere c'è: si tratta solo di volerla afferrare, quella dannata possibilità.
Volerla afferrare.
Volere.
Vabbe'.
Se le do una sberla mi faccio più male io di lei... se lo do una sberla mi faccio male io e faccio male a lei... se le do una sberla... non cambia nulla. Penso e la invito per una birra una sera della prossima settimana: le ribadirò il mio affetto e proverò di nuovo a parlarle del VOLER essere felici e del NON VOLER schiodarsi dalla tristezza.
Ma che cazzo di domanda è: "In Maratona avete cantato per almeno cinque minuti?"
Non me ne capacito... cercherò di capire.
Un tarlo in più nella mia mente bacata non fa la differenza ai fini di...

... dell'immensa gioia che gli vedo negli occhi e sugli zigomi lentigginosi che si alzano come non mai.
Salite le scale, vediamo e guardiamo il campo verde (ed è sempre un verde emozionante) e quel coso rotondo in mezzo al campo.
Allora è vero... penso e, forse, dico sottovoce.
Piccola, sciocca, tenera La Zilvia... lascio che le emozioni fluiscano sempre, inspiro nel calore del presente per sciogliere la tensione del freddo del passato e incamminarmi verso il futuro che ancora non conosco e la cui temperatura è l'ultimo dei miei pensieri.
"Mamma! Guarda!" Indica il centrocampo ed è come se indicasse quello che eravamo per presentarmelo come nuovo.
È felice.
Durante i secondi di smarrimento in cui tutti chiedevano a tutti "Chi lo tira 'sto rigore?", durante il timor panico orrendo di quei secondi, stringe già la mia mano.
È il nostro schema rigorizio: io a destra, lui a sinistra, le mani intrecciate.
"Ciccio, proviamo a cambiare posizione per questa volta?"
"No, stiamo come al solito ma abbracciamoci."
Mi rendo conto per l'ennesima volta di come mi sovrasti fisicamente e mi accomodo nel suo abbraccio.
Sollevo un po' la testa e gli dico: "Questa volta lo segniamo, questa volta facciamo goal, vedrai."
E poi accade e lancio braccia e gola verso il cielo, in quel susseguirsi di secondi orgasmici in cui a nessuno interessa più chi c'è al proprio fianco.
E poi l'abbraccio forte di Davide-Amico.
E poi di nuovo Davide-figlio.
Un po' di voglia di piangere e di ridere insieme.
Un po' di quella roba lì.
Quella roba lì.
Quella roba lì che...

... che un anno e un giorno prima di ieri avevo un magone enorme (v. questo sproloquio), non tanto per come erano andate le cose, ma perché il solito gobbo coglione aveva detto le solite cose che mi rendono più evidenti, se fosse il caso, i motivi per cui io sono del Toro (o sono IL Toro, ma questo è un altro discorso).
Mi ha telefonato, 'sto bel tomo, mi ha telefonato proprio oggi.

"Gran partitone, ieri: complimenti."
"Grazie."
"Dici solo 'grazie'? Non sei contenta?"
"Uh, sì, sono contentissima, figurati... ma voi, piuttosto... perché avete giocato con le maglie color catarro?"
Non riesce a dire nulla: si mette a ridere. A denti stretti.
E poi cerca ancora di dire qualcosa, ma io non ho voglia di stare ad ascoltarlo, io voglio stare con i miei pensieri, io voglio godermi la mia solitudine in mezzo alla folla, io voglio... io voglio godere quando è possibile farlo, non darmi martellate sugli ammennicoli quando mi par di percepire che forse chissà magari potrei provare un po' di gioia.

Così.

Mi basta poco per essere felice, mi basta veramente poco.
E se anche quel poco fosse un'infinitesimale parte di pulviscolo... sarebbe sempre tanto rispetto al niente e al barricarsi dietro all'immobilismo praticato da chi triste VUOLE essere e se ne lamenta pure.

Libero pensiero e libero sentire sempre.
Nessuno è migliore di qualcuno, ma qualcuno è decisamente peggiore per se stesso.
"C'è ancora tempo per cambiare la strada su cui ti trovi" diceva Ricciolidoro Plant e non mi sento di dargli torto; basta volerlo.
Non è facile, ma è semplice. Sem-pli-ce.

Senza volontà non si va da nessuna parte.
Senza volontà di investire danari, non si costruisce una squadra con le palle e le contropalle, per esempio.
Senza volontà di ascoltare gli altri, non si dialoga.
Senza volontà non si va da nessuna parte.

Vabbe'.

Io ieri sera ho goduto come una riccia (noblesse oblige, d'altra parte), ieri sera ho capito ulteriormente quanto sia importante volermi bene... e uno dei modi in cui scelgo di volermi bene è - come detto prima - godere nel momento in cui è possibile farlo, senza SE, senza MA, solo con forza di VOLONTÀ.

La rima non era voluta, ma sia essa benvenuta (sic).

Forza Toro.

-o-o-o-

Oggi, per l'ennesima volta, scelgo di ascoltare The Rain Song: ascoltatela anche voi.
La dedico a chi, ieri sera, ha guardato la Luna.