- Non so se sia il caso di andare allo stadio questa sera... tra te e me non so chi sia più raffreddato.
Mi guarda un po' deluso, ma comprende.
- Va bene, mamma.
- Dai, vediamo come va questa sera...
Va a scuola, io vado in ufficio.
Penso.
Ripenso.
Strapenso.
Gli sto creando dei ricordi.
Si sta creando dei ricordi.
Un giorno, magari, dirà: "Quella volta in cui ero andato allo stadio con mamma a vedere il Toro in Europa League e avevo il raffreddore."
Che ricordo del cazzo, eh?
Ma saranno i suoi ricordi, SUOI.
Lo renderanno felice.
Vengo travolta dagli eventi, come normalmente accade in ufficio, e non ci penso più.
Non ci penso più finché non mi scrive un SMS.
Ho appena visto la pubblicità di Torino-Copenhagen su Italia Uno :)
Sbalordisco: l'algido Davide ha messo un sorriso in fondo al suo SMS.
Non lo fa mai.
Lui ha la capacità, talvolta invidiabile, di ridurre tutto all'osso.
Ha messo un sorriso e sorrido anche io.
Gli rispondo: Siamo belli? :D
Replica: Sì, tanto :)
Che tu possa avere quel sorriso sul serio questa sera, ciccio: lo meriti solo per il fatto di dare retta al cuore e, no, non ti preoccupare: andremo allo stadio, senza se e senza ma.
Passiamo il primo tempo a litigare: lui non vuole che io sia troppo critica.
Fondamentalmente lui è un realista e contestualmente ha la tendenza innata a trovare qualcosa di positivo in tutto ciò che vede.
Una sorta di contraddizione in termini, ma anche no.
Passiamo il primo tempo a litigare però ogni tanto ci guardiamo negli occhi e ci sorridiamo.
Arriva l'intervallo e chi è lassù mi racconta un po' di sentimenti e sensazioni.
Spero che ci si veda presto perché me le raccontino con la loro viva voce. Dovrebbe succedere domenica sera.
Squilla il telefono.
"Allora? Come stiamo andando?"
Glielo racconto, la voce gli ritorna normale, la voce appoggia a terra il mantello della sofferenza, mi sembra di riconoscerlo, di riconoscerlo di più (non so bene come spiegare).
Inizia il secondo tempo e non litighiamo più: siamo troppo concentrati sul sottile terrore che ci pervade, siamo troppo concentrati sui nostri pensieri, così distanti eppure così comuni.
Favella per manifestare, ancora una volta, la sua incredulità e mi riempie di quella tenerezza che forse manca a tanti e mi dispiace per loro.
Finisce la partita, ci rimangono i dubbi, li vediamo andare verso la prossima alba a braccetto con le emozioni e possiamo cenare in santa pace.
Altri orizzonti.
Né migliori né peggiori.
Altri.
C'è tanto spazio nell'Universo.
Tanto.
-o-o-o-
Ringrazio mio figlio, gli Amici Davide, Beppe, Chris, mia figlia che si è procurata una distorsione alla caviglia giocando a calcio (ma prima aveva segnato) e, last but not least, mio padre per la partecipazione e dedico loro "Boogie With Stu" ("Physical Graffiti", 1975, ovviamente Led Zeppelin): alla fine del brano ridono.
Solo pochi minuti prima mi si era addensata una nuvola di rabbia e merda sulla testa, solo pochi minuti prima mi ero seduta SFINITA sul seggiolino fino a quel momento ignorato.
E poi quella roba lì, il mio ragazzo lentigginoso, mi dice la sua gioia.
Lo abbraccio forte e mi sembra di poterlo contenere fra le braccia, come quando era piccolo, ma ora è grande ed è lui che contiene me, mi contiene e mi sorregge, mi sorregge anche se non sa fino in fondo tutto quello mi si agita dentro da un po' di settimane.
Abbracciati usciamo dallo stadio e parla, parla, parla, è incontenibile, è sorpreso, è... è il SUO tempo, il presente è il SUO tempo e nel SUO tempo non conta altro che quello: il presente, nudo e crudo, duro e puro, il presente e basta.
Gli chiedo di tacere, ad un certo punto, perché ho voglia e bisogno di riflettere, ho voglia e bisogno di riflettere sul fatto che papà mi abbia chiamato durante la partita.
Il mio cellulare non funziona mai allo stadio: ieri sera - e solo ed esclusivamente per la chiamata di papà - il fetido aggeggio ha funzionato.
- Ciao, gioia... come sta andando?
- Facciamo cagare, papà, ma stiamo vincendo!
- Meno male...
Io rifletto in silenzio e poi lui decide di essere stato zitto troppo a lungo... e che diritto ho io per fermare il torrente emozionale che sta per travolgermi per appiccicarmi due ali enormi sulla schiena? Nessuno.
- Mamma?
- Sì?
- Me lo hai insegnato tu.
Lo dice con la voce che ride.
Lo ascolto con gli occhi che si inumidiscono.
- Che cosa?
- Questo. Tutto questo. Mi hai insegnato a godere del momento. Mi hai insegnato a vivere ogni partita del Toro come ad un momento a sé stante.
- Urca...
- Sì! Ti ricordi quando non volevo più venire allo stadio? Non mi hai mai costretto a tornarci. Mi hai lasciato scegliere. Me lo hai insegnato tu. Tu mi hai insegnato che si possono fare delle scelte. Mi hai insegnato il Toro.
- Sì, OK, però adesso basta, eh?
- Ma perché?!? Quello che è giusto è giusto... come sono felice...
Perdo nozione del contatto fra piedi e terreno, dei pensieri brutti, degli ultimi minuti terrificanti di una partita sofferta.
Gli metto una mano sulle spalle, come a proteggerlo da.... boh, non so da che cosa, forse dalla mia bassa autostima... e proseguiamo la strada che dallo stadio porta a casa.
Quando si riesce a trasmettere un'idea senza coercizione, la vita assume un senso.
La Buona Sorte ha voluto che egli, mio figlio, ricevesse la comprensione dell'IDEA da me: sono fortunata.
[NdR Sono fortunata anche perché il di me figlio ha autorizzato la pubblicazione di questa cosa tanto intima, comprendendo quanto fosse giusto condividerla...]
È lunedì e devo tornare al lavoro dopo due settimane di... ferie?
È lunedì e devo tornare al lavoro e mentre sono in metropolitana Papà è in sala operatoria.
Le ore passano.
- Ma', ci sono novità?
- Nessuna.
È lunedì e le ore passano beffarde.
È lunedì e la mia immaginifica mente VEDE Papà su un tavolo freddo, tante persone che si affaccendano sopra e dentro di lui, alla ricerca del Mostro che gli è cresciuto dentro, ecco: l'hanno individuato, lo prendono di mira, lo circoscrivono, lo recidono, lo buttano via.
È lunedì e il Mostro muore affinché il mio Papà viva.
- Pronto?
- L'intervento è finito: lo stanno svegliando.
Sul volto mi si spalanca un sorriso che va da qui agli anelli di Saturno.
Telefonate di rito alle persone più vicine.
E poi le lacrime.
No, non sto piangendo: sto lacrimando.
Sto lacrimando e non riesco a fermarmi.
Maledetto/benedetto autocontrollo.
Il cellulare suona ancora: è Mamma.
- L'hanno portato in camera, è sveglio e dice già le parolacce.
Si muore e si rinasce migliaia di volte all'interno di una vita.
Io rinasco lunedì quando mio Papà dice le parolacce dopo un intervento durato sei ore.
E poi è martedì.
- Arrivo tra un'ora, ma'.
- Come vuoi... sta benone, per cui se preferisci riposarti a casa...
- No. Io voglio venire lì per stare con Papà.
È martedì e sono in ospedale con il mio Papà.
È martedì e sono felice di essere in un reparto oncologico.
La felicità sgorga un po' dove ha voglia di sgorgare, in definitiva.
È martedì e mi racconta.
Mi racconta del degente gobbo che è stato dimesso da due giorni e quando se ne è andato sono state lacrime perché lì, in un reparto oncologico, è più facile volersi bene: le sovrastrutture vengono a mancare e c'è spazio per i sentimenti.
I sentimenti base.
I sentimenti tipo vogliobene/nonvogliobene.
E con il Gobbo ci si è voluti bene.
Il Gobbo se ne va e son lacrime ed auguri e un possibile futuro.
In un reparto oncologico si ha quasi paura di pensare al futuro, ma lo si pensa: magari l'Universo si mette in ascolto, dai...
Mi racconta della Bandiera, della Bandiera che ha danzato per la camera.
- In che senso, Papà?
Gli faccio questa domanda e mi viene un po' da lacrimare, ma mi trattengo.
Gli avevo portato la Bandiera del Toro durante il ricovero di giugno: a quanto pare se l'è portata dietro in tutti i ricoveri degli ultimi due mesi.
Grazie, Papà, grazie per avermi insegnato il Toro, grazie per essere graniticamente granatico sempre, anche quando si fa buio.
- Eh, gioia... anche il chirurgo che mi ha operato è dei nostri e questa mattina ha fatto danzare la Bandiera per la camera!
Non approfondisco, mi beo solo della bella e PURA emozione che ricevo da qualcosa che non ho visto ma riesco a sentire fino nel midollo.
Mi racconta un po' di cose e poi si mette le cuffiette nelle orecchie: "Adesso ascolto un po' di musica."
"Che cosa ascolti, Pa'?"
"Chet Baker."
Si esclude dal mondo, così come faccio tanto frequentemente io, e rimango a guardarlo mentre con la mano destra marca dolcemente il ritmo di quella musica.
Lo guardo e lo amo come sempre.
Non lo amo di più: lo amo come sempre.
Lo amo costantemente.
E amo anche quel che di me vedo in lui.
E provo gratitudine mista a non lo so, ma so che sono felice.
La strada è ancora lunga ma:
- il Mostro non è più dentro di lui
- lui è un guerriero
- io sono sua figlia
- combatteremo insieme
Come dice la Stefi: "C'è qualcosa in tuo padre che mi muove nel profondo, una radice, un senso familiare di appartenenza da sempre, un legame d'affetto inossidabile. Eterno. Quando penso a lui mi sento a casa. E lo sento roba mia."
È proprio così.
C'è una marea di belle anime che sta facendo il tifo per te, Papà... no, non promettermi niente, non promettermi nulla che non sai di poter mantenere... ma renditi conto di quanto sei bello e di quanto la tua bellezza abbia unito decine di persone a tenermi per mano (GRATITUDINE ETERNA) e a pensarti, a pensarti qui, fra noi e con noi.
Pensiamo alla prossima partita, Papà... no, non quella contro l'RNK... cioé, sì: anche a quella... sì, Papà, vado con Davide, figurati se ne perdiamo una... no, la prossima partita, Papà.
Questa è la mia copia originale di 'In Through The Out Door': la maneg-
gio sempre con cautela perché così si fa quando si tratta di amore.
Le copertine sono rimaste immutate, io no e va bene così.
E il Toro che cosa ci azzecca? Ah, non lo so: chiedetelo a 'sto vinile
che mi accompagna da decenni... una volta l'ho portato allo stadio con
me: qualcosa avrà imparato (i vinili hanno una gran bella anima).
Io non mi ricordo dell'atto fisico dell'acquistare "In Through The Out Door" ma ricordo BENE il primo ascolto.
Ricordo anche di averlo pagato con le monetine che avevo messo insieme a fatica.
Mi ero seduta davanti al piatto: mi piaceva guardarlo girare.
Avevo le cuffie (giganti! Pesanti!) in testa.
Soprattutto era il primo album dei Led Zeppelin che acquistavo in regime di contemporaneità storica: gli altri erano stati acquistati al di fuori dalla loro timeline per ovvi motivi di età (mia).
Iniziava con l'intro inquietantissima di "In The Evening".
"Eccoli, eccoli!" Avevo pensato con i brividi che potevo avere a 14 anni.
E poi "South Bound Saurez".
"Che roba è?" Avevo pensato un po' delusa.
E poi "Fool In The Rain".
"Ma senti come si divertono..." Avevo pensato, sempre con un retrogusto amaro.
E poi "Hot Dog".
"Ma che cazzo è 'sta roba?" Avevo pensato, quasi con le lacrime agli occhi.
Dov'erano i miei Zep? Dov'erano finiti? Sì, lo sapevo, sapevo dell'incidente di Percy e della morte di suo figlio Karac, anche le riviste musicali italiane ne avevano parlato... ma Pagey... dove cazzo era?
Avevo voltato il vinile per ascoltare il secondo lato con un po' di timore.
"Carouselambra"
"C'è qualcosa che non va... non è un titolo da LZ... però... però... si fa ascoltare..." Avevo pensato, forse per cercare di convincermi.
E poi "All My Love".
"Questa fa male, sembra che Percy urli di dolore, qui l'amore è... buio." Avevo pensato rabbrividendo un po' d'orrore per quell'assolo alle tastiere: che roba melensa. Meno male che poi entrava l'acustica di Pagey...
e infine "I'm Gonna Crawl".
"Oh, cazzo, era ora..." Avevo pensato facendomi entrare quel blues sofferto nelle vene.
Che amaro in bocca, però.
C'era chiaramente qualcosa che non andava.
Il qualcosa che non andava si sarebbe palesato non tanto l'anno dopo con la morte di Bonzo, ma piuttosto con le notizie che arrivavano - soprattutto grazie alla stampa straniera - relativamente alla dipendenza da eroina di Pagey.
Se allora ci fosse stata Internet sarebbe stato più facile capire fin da subito.
Forse è stato meglio così.
Forse è stato meglio essere stata delusa (ma nemmeno troppo, sai?) da un album tanto desiderato e di cui la cosa migliore sembrava essere il titolo ("In Through The Out Door" suona tanto bene fra le labbra).
Adesso che sono grande ho imparato a cogliere certe sfumature di "In Through The Out Door" e l'ho fatto MIO.
Mio al punto tale da scegliere - coscientemente! - di ascoltare, di quando in quando, perfino "Hot Dog" e di ritrovarmi stampato in faccia un sorriso grande come una casa.
Per la tenerezza.
Per quello che erano.
Per quella che ero.
Per quello che sono diventati.
Per quella che sarò.
-o-o-o-
Avevo già blaterato questa parole da qualche altra parte, ma che cosa importa... buon compleanno numero 35, albumstranodeiLedZeppelin: non sarai mai quello che mi piace di più e non sarai mai quello che mi piace di meno (a dire il vero non esiste un album dei Led Zeppelin che mi piaccia meno degli altri: ho un favorito e tutti gli altri sono vita).
Buon Ferragosto soprattutto a chi è in un letto d'ospedale e anche a chi, nonostante tutto, è felice.
La Silvia - Boh... pensavo di essere lì per le 19...
Davide - Che cosaaaaaaa???
La Silvia - Che cosaaaaaaa cosa, ciccio?
Davide - Io pensavo che saremmo stati là per le 18...
La Silvia - Perché, di grazia?
Davide - Perché durante il campionato arriviamo allo stadio circa tre ore prima della partita. Se arriviamo alle 18 io mangio subito il panino di Stringi e sono felice, poi parlo con un po' di gente e sono felice, poi mi guardo intorno e sono felice...
La Silvia - Va bene, va bene, va bene! Lasciami fare una telefonata, ciccio.
-o-o-o-
La Stefi - Oi.
La Silvia - Il giovane vuole essere allo stadio per le 18, riesci ad arrivare prima?
La Stefi - Assolutamente sì.
La Silvia - Sono agitata.
La Stefi - Anche io.
La Silvia - Davide è felice.
La Stefi - Anche io.
La Silvia - Ti voglio bene.
La Stefi - Anche io.
La Silvia - Vaffanculo.
La Stefi - Anche tu.
-o-o-o-
Sì, mio figlio è felice: posso chiedere di più? No.