mercoledì 7 novembre 2012

Quando sarò grande...

... voglio essere proprio come lui


… “Vuoi smetterla una buona volta? Mi fai volare via tutti gli appunti che ho sparso sulla scrivania! Svolazza altrove, sciò! Sciò!”
Le urla di Sagliets si spandono per i corridoi della Redazione. Non capisco perché si innervosisca così quando plano nel suo sancta sanctorum: io sto mantenendo la mia promessa.
Non gli ho più parlato né delle Shetland né dell’Irlanda, che cosa cavolo vuole da me?
E che colpa ne ho - io! - se tiene sempre le finestre spalancate? Fa un freddo gobbo, brrr brrr... a proposito di brrr: non appena si calma gli racconto delle Ebrrridi.
Ah, le Ebridi: panorami da paura...

“Paura! Paura dappertutto!”
Queste sono le parole che esclamo mentre sono al telefono con la Stefi.
Il Toro è sotto assedio.
Paura. Paura dappertutto.
L’incornata di Glik, la risposta di Mauri, il Toro cala, il Toro cede, che mal di stomaco, ma non c’era la regola che se il Toro è in vantaggio l’arbitro fischia la fine della partita?
No, mi dicono di no, mi dicono che la regola è ancora al vaglio, mi dicono anche che - qualora ratificata - varrebbe solo per l’altra squadra di questa bella città.
Il Toro è sotto assedio, ma direi bene, volitivi, di temperamento, dai.
“Paura! Paura dappertutto!”
La Stefi ride e la sua risata percuote con violenza il mio timpano sinistro.
Pensavo di prendere una caterva di botte contro la Lazio e invece no.

Un passo indietro.

“Ma che cos’è questa roba? Ma per favore! Ma dai! Ma uffa!”
Quando la congiunzione ‘ma’ si fa troppo frequente nel mio discorrere, nel mio pensare, nel mio esistere, significa che non c’è la giusta coincidenza fra ciò che vedo e ciò che è comprensibile.
Baaam.
Doppio baam.
Due fette di prosciutto di Parma. E poi una terza.
Urca, che botte quella notte (licenza poetica: ci sono pomeriggi che sono bui, non già come Gianni, bensì come la notte del Solstizio d’Inverno, quella più lunga, misteriosa e oscura).

Un passo indietro.

Palermo.
Pareggio.
Caldo.
Uff.

Un passo indietro.

Torino-Cagliari 0-1.
La partita per me più emozionante degli ultimi anni per motivi che con il Toro non c’entrano nulla e gli sono strettamente correlati.
Andiamo per ordine: facciamo un altro passo indietro, anzi: più di uno... continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato (probabilmente Fitzgerald era del Toro).
Pronti? Via.

È un caldo pomeriggio di primavera inoltrata e sono allo stadio con mio figlio, la Stefi e la Nonna Olga. Giochiamo contro il Genoa e veniamo massacrati. Si scatena una rissa da saloon in campo. Mio figlio decide di chiudere con lo stadio. La settimana dopo il Toro va in serie B e ciao Berta.
Era maggio ed era il 2009.

Ora un passo grande e lungo in avanti.

Il Toro cresce, pianin pianello, e inizia il campionato attualmente in corso.
Mia figlia è diventata la mia abituale compagna di stadio, mio figlio - seppur costantemente sollecitato da ‘sta gran rompiballe che so di essere - nicchia, eppure noto che inizia a cambiare qualcosa in lui... non lo so... sembra guardarci con occhi ‘strani’ quando usciamo di casa per andare al Comunale, ma non osa favellare, non ancora.
Siamo reciprocamente due libri aperti, io per lui, lui per me, ma è lui a fare la domanda, prima che riesca a fargliela io.
“Mamma, alla prossima partita posso venire anche io con voi?”
Jimmy Page si è materializzato al mio fianco facendo partire un breve assolo (solo 37 ore!) con la sua double neck.
John Lennon è sceso dai cieli cantando “Give Davide a chance”.
I miei nonni si sono affacciati fra le nuvole ed hanno sorriso.
“Certo, tesoro... certo.”
Ho risposto in un miscuglio di emozioni che contemplavano il ricordo della nascita di ‘sto ragazzino, il Big Bang, certi tramonti bretoni, la pioggia scozzese, i primi passi sempre del ragazzino in questione, il Toro in tutte le sue accezioni (onnicomprensivamente positive).
Sfoglio rapidamente il calendario: la prossima è Toro-Cagliari.
“Figliolo, io ti avverto: il Cagliari perde con tutti, pertanto contro di noi vincerà. L’algoritmo è certificato da più di un secolo di storia e da seri studi scientifici.”
“Non importa, mamma... cioè: importa, ma io voglio venire con te a vedere il Toro.”
Riprendendomi dalle vertigini causate dall’ennesimo attacco di sindrome di Stendhal che ‘sto ragazzino-capolavoro suscita in me, prenoto i biglietti.
Il sabato mattina andiamo a ritirarli. La domenica ci prepariamo ed andiamo allo stadio. Insieme. Io e i miei figli.
Sapevo che questo momento sarebbe giunto, prima o poi.
Volevo che questo momento giungesse, prima o poi.
Avevo ‘sta coda di pavone che voleva liberarsi per mostrarsi in tutti i suoi incredibili cromatismi e, quella domenica, ho scoperto che non era una coda bensì ali.

… quello sciagurato di Sagliets dirà che si tratta dei miei capelli, interferendo con il mio afflato poetico... chissà che cosa dirà quando il mio afflato calcistico si abbatterà sulle sue ginocchia...

Giunti nell’antistadio, gli amici mi dicevano: “Sembri più alta oggi, che cosa ti è successo?” e poi vedevano i due begli esseri umani che mi contornavano, uno per fianco, e capivano.

Toro-Cagliari.

Prima della partita mi accade di scoppiare in lacrime quando il Capitano omaggia la memoria di Maria Giulia - una Grande Donna - con un mazzo di fiori, ma più che piangere per lei piango per un’Amica che sta lottando per un male improvviso e piango per la mia disperazione e piango perché non so quanto tempo le rimanga e piango perché, in realtà, so che di tempo non gliene rimane molto e poi mi giro a guardare i miei figli.
Siamo qui per partecipare a qualcosa: bando alle lacrime e forza Toro.

A dieci minuti dalla fine, quando era lampante che non avremmo riparato alla sconfitta, mio figlio si è voltato verso di me. Sono passati quasi tredici anni da quando ho incrociato per la prima volta il suo sguardo, ma non posso fare a meno di rimanere sempre sorpresa dalla grandezza e dal colore dei suoi bulbi: è come essere avvolti dal cielo.
Mio figlio si è voltato verso di me, avvolgendomi d’azzurro, e mi ha detto: “La prossima che giochiamo in casa è il 28, contro il Parma: mi porti con te?”
È stato come se avessi sentito dire “forza Toro” per la prima volta nella mia vita e contestualmente avessi percepito la cristallina giustezza delle due parole messe insieme.
Per me è piuttosto normale, anche se spesso sorprendente per l’intensità, cogliere le mie proprie sfumature di Granatismo... cogliere le medesime, se non nuove, sfumature in quegli esserini che mi è stata data la fortuna di portare nel mondo... è estasi allo stato puro.

Qualche passo avanti.

“Paura! Paura dappertutto!”
Durante Lazio-Toro dicevo così ed era la frase che più sintetizzava certi momenti inframezzati da:
- possiamo ambire allo scudetto
- dobbiamo mettere in campo la Primavera
- non giocano male, però...
- sono tutti brocchi (compreso l’omonimo biancoceleste)
Giulia era già nel mondo dei sogni, Davide era lì con me.
Lo guardavo e lui guardava me e mi diceva: “Mamma, ho sonno ma cerco di resistere... se mi addormento sul tavolo e succede qualcosa, mi svegli?”
“Certo, ciccio...”

Essere del Toro significa anche fidarsi ed affidarsi, nonostante tutto e tutti... e mi sa che se sto diventando ancora più grande e più Granata lo devo anche a te, Davide.
A volte i bimbi scelgono la squadra di mamma e/o papà per una forma di ‘ruffianeria’, a volte lo fanno perché scelgono e basta.
Gettano un sasso verso il futuro e poi, magari a piccoli ma costanti passi, vanno a riprenderselo per lanciarlo ancora più lontano e di nuovo partire alla sua ricerca e così via, così via.
Lui, mio figlio, fa così: quando sarò grande voglio essere proprio come lui.
Nel frattempo proseguo il mio viaggio.

Giovedì, mentre ci avvieremo nel buio del mattino verso la fermata del bus, gli racconterò per l’ennesima volta la storia di Capitan Giorgio, la storia di Ferrini che fece in tempo a vedere il tricolore sulle maglie Granata prima di sprofondare nel Grande Buio.
Giovedì otto novembre.
È quasi un sollievo superare l’otto novembre: è l’ultima data triste dell’Anno Granata.
Arriva il tre dicembre, gli animi si rasserenano e poi si ricomincia: continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato (sì, Fitzgerald era del Toro, decisamente).

Un passo avanti.

Napoli-Toro: paura, paura dappertutto. Non vedo l’ora e non è masochismo. Staremo a vedere...

… uh, sì, poi abbiamo visto e mi è piaciuto tanto. Mi piace credere anche dopo che è finito tutto, mi piace credere che esistano momenti in cui la parola FINE non è drammatica bensì gioiosa... mi hanno riferito che Sagliets abbia perso totalmente la voce poco dopo il gol di Sansone... meno male: per un giorno o due, quanto meno, potrò svolazzare liberamente nel suo ufficio senza sentirlo gracchiare come fa di solito...



Questa settimana tocca a “Breathe” (Breathe, 1996, Midge Ure): è un brano così bello da far male.



Dedico “Breathe” a Mauro Saglietti perché sì.