mercoledì 20 febbraio 2013

Piccole storie

Superpoteri


“Salagadula mencicabula bibbidi bobbidi bu! Cazz... non funziona... Abracadabra! Ancora niente... ma come diavolo si fa... proviamo così: Simmmmmm Salaaaaaaa Bimmmm! Uffaaaaaaaaa... Ultimo tentativo: cia-pa-ciuc! Sììììììììììììììììììììì!” La voce di Sagliets scuote le mura della labirintica redazione.
Penso: “È irritante, il volume della voce di Sagliets è irritante: sbraita incomprensibilità a raffica e non capisco perché non se ne stia bravo davanti al PC a scrivere la prossima Diapositiva, Slide... come cavolo si chiama la sua rubrica? Polaroid: mi confondo sempre... e per forza: con tutto ‘sto casino... adesso basta, però, sto preparando un grande incantesimo dalla notte scorsa e non riesco a concentrarmi come vorrei: adesso vado a dirgliene seicentosessantasei...”
Spalanco la porta dell’ufficio di Sagliets con il sinistro intento di terrorizzarlo a morte, ma tutto quello che ottengo è di vederlo orgogliosamente sorridente, le braccia incrociate, il piedino destro che batte un ritmo di samba sul pavimento.
“Ehilà, strega! Hai visto?”
“Santa Dea, Sagliets... che cosa dovrei vedere?”
“Funghi. Tutti questi funghi. Non ti complimenti con me?”
Le pareti dell’ufficio di Sagliets sono completamente ricoperte di funghi delle più svariate fogge, dimensioni e qualità.
“Sagliets, sei sempre il solito... dove hai messo il deumidificatore? Che disastro...”
“Ma che deumidificatore e deumidificatore! Li ho materializzati io! Finalmente sono totalmente padrone del superpotere che il Destino mi ha donato! Da grandi poteri derivano grandi responsabilità! Solo ora comprendo!”
“Super... superchecosa?”
“Superpotere, piccola adepta dei demoni delle tenebre... il MIO superpotere: far crescere funghi sulle pareti! Non è entusiasmante?” Non l’ho mai visto così trullallerolallà.
“OK, Sagliets: bravo. Io adesso torno nel mio sancta sanctorum, tu intanto esercitati. Respira, eh? Tranquillo, buono, bravo, a cuccia...”
Esco dal suo ufficio lentamente, chiudendo la porta e scuotendo la testa. “Ce lo siamo giocato... che peccato: era un ragazzo talentuoso...” Sospiro, percorro il corridoio, entro nel mio antro, chiudo la porta a chiave e tento di concentrarmi su quello che stavo facendo prima.
“Da grandi poteri derivano grandi responsabilità... tzé: vuole insegnarlo proprio A ME??? Non appena smette con la Grande Fungata gli faccio un discorsetto...”

Piccola storia numero uno
C'è quel bambino, quel bambino piccolo con il ciuffo biondo, quel bambino inconsolabile: l'asilo proprio non gli va giù e allora piange. I suoi grandi sentimenti non vanno d'accordo con il suo vocabolario, con il piccolo patrimonio di parole di bimbo di due anni. Mamma e papà sono del Toro, la Maestra lo sa. La Maestra lo sa e, non riuscendo a consolarlo con la grande dolcezza che è solo una delle sue tante doti, fa un ultimo tentativo: tira fuori la custodia del cellulare, la custodia Granata, quella con il Torello bianco. Il bambino riconosce il Simbolo e sorride. Sorride e rimane appiccicato alla Maestra per tutto il giorno. Sorride e non piange più.

Piccola storia numero due
C'è quel ragazzino, quel ragazzino che si sta affacciando al glorioso mondo dei brufoli adolescenziali, quel ragazzino un po' chiuso, poco socievole, timido. Un po' per indole e un po' per scelta è solito trattenere emozioni e sentimenti, ultimamente lo puoi trovare sempre allo stadio seduto vicino a sua madre. Durante Toro-Atalanta ha le guance rosse. No, non ha freddo. È emozionato. È felice. È del Toro. Fa altri passi per essere ancora più del Toro. Dopo i due gol, durante le azioni di Cerci (la Dea lo strabenedica), alla fine della partita, salta per aria e poi abbraccia la madre lasciandosi andare, senza ritrarsi nel suo usuale guscio. Si riconosce del Toro una volta di più e ancora una volta scopre che essere del Toro è proprio quel che dice la madre: la roba più bella del mondo.

Piccola storia numero tre
C'è quel bambino, frequenta la prima elementare, gli è capitato di nascere in una famiglia Granata, per uno scherzo del Destino ha scelto di essere della giuve. Mi capita di incontrarlo, di quando in quando, davanti alla scuola e sempre – inevitabilmente – gli faccio la stessa domanda: “Per che squadra tieni?” Mi risponde sempre nella stessa maniera. Fino a due giorni fa. Due giorni fa, sì. Due giorni fa mi ha guardato dritto negli occhi e mi ha detto: “Tengo per la giuve... e anche per il Toro!” Il bambino, dunque, sta manifestando un'apertura mentale e cardiaca non da poco... Il bambino, quando ha detto “... e anche per il Toro!” ha sorriso e gli si sono illuminati gli occhi. Gli volevo bene già quando era un piccolo gobbetto, ora gliene voglio... uguale. Perché è il figlio di un Amico e NOI siamo Famiglia, comunque e sempre.

Significato di 'voler bene uguale'
Esercizio da praticare quando i sentimenti altalenano: voler bene a qualcuno o a qualcosa sempre con la stessa intensità, sempre con la stessa forza, sempre con la stessa spontaneità.
Roba da duri. Roba da duri e puri. Roba da... roba da Toro.

Piccola storia numero quattro
Il Comandante Menga.
Chiamala piccola storia... è entusiasmo.
A casa mia entusiasmo ed amore si trovano sotto la stessa lettera, anzi: sotto un gruppo di quattro lettere che, messe insieme, dicono una parola/idea: TORO.

Hanno partecipato: la Maestra Sabrina e il bimbo che riconosce il Tor (piccola storia numero uno), mio figlio e la sottoscritta (piccola storia numero due), Filippo, figlio del mio Amico Davide (piccola storia numero tre), il Comandante Menga e il Toro (quindi tutti i protagonisti prima menzionati più qualche altro centinaio di migliaia di cuori pronti a stupirsi, soffrire, godere, cadere, volare).

È come una sorta di superpotere: il Toro ritorna e noi si vola. Ci sono quelli che non sono comunque soddisfatti, ci sono quelli che volevano ali diverse da quelle che si sono trovati all'improvviso sulle spalle, ci sono quelli che volevano le ali ed ora che le hanno non sono felici perché vogliono altro, manco sanno che cosa.
Pazienza.
C'è anche un superpotere che, finché non verrà consumato e/o dimenticato, sarà il più grande di tutti: esserci anche quando volare diventa una chimera e il fegato pare disintegrarsi. Che si disintegri: NOI abbiamo cuore e quello, sì, supplisce ad eventuali altre mancanze.

Ci sono superpoteri inutili e poi ci siamo NOI, quelli del Toro. Anche nelle differenze.

“Sagliets! Saaaaaaaaaaaaaaglieeeeeeeeeeeeeetsssssssssss!!! Corri!”
Arriva nel mio sancta sanctorum con l’andatura di un lama (senza sputare, però, la Dea lo benedica), recando seco un plateau pieno zeppo di porcini e ovoli reali: “Questa sera polenta!”
“Ma che polenta e polenta, buon uomo! Guarda!”
Faccio un rapido volo nel mio ampio ufficio, atterro proprio in mezzo al pentacolo inciso sul pavimento, faccio roteare il mantello nero, avvicino le mani e... booooooom!!!
“Oddiomadonnagesùesangennaro! Che cos’è codesto fragore? Bombe carta in redazione?”
“Hai sentito? Sono stata io. Tzé.”
“Ma... ma... ma... come hai fatto?”
“Eh, Sagliets... non credere di essere l’unico a possedere un superpotere inutile, monello... è ora che ti riveli qual è il mio: sei pronto?”
“Trattandosi di te... NO.”
“Noioso. Ebbene... Sagliets, devo rivelarti un grande segreto: il mio superpotere è far esplodere le arachidi.”
Mi guarda smarrito.
“Arachidi?”
“Arachidi.”
“Non hai detto gonadi, vero?”
“No, ho detto arachidi. Tappati le orecchie e... BOOOOOOOOOOOOOOMMMM!”
“Osssignùr. Perdonami però, strega riccioluta... il mio superpotere, quanto meno, ci mette al sicuro per quanto riguarda la cena... il tuo... il tuo superpotere, invece?”
“Sagliets, stellina santa... il mio è un superpotere del tutto inutile, anche se... boh, chi lo sa... a volte si fa troppo in fretta a giudicare l'utilità o l'inutilità delle cose... dai, vai a finire il tuo articolo, io devo completare una pozione magica...”
Ci viene da ridere ma anche no.
Da quando abbiamo iniziato a scrivere di Toro ci siamo spesso sentiti sopraffati da tutto quello che il Toro comprende; ultimamente ci siamo fatti tante domande sulla mancanza di armonia fra tifosi, noi inclusi, e non abbiamo trovato risposte.
Pazienza... sento che sta materializzando altri funghi, quasi quasi faccio esplodere quel mucchio di arachidi... BOOOM! BOOBOOOOOBOBOMMMM!!!
DA-DANG-DA-DA-DANG.
È il mio telefono: uh, il Diretùr!
“Hey, Capo...”
“Non chiamarmi Capo!”
“'zzo vuoi?”
“Scusascusascusami se ti chiamo a quest'ora: devo chiederti tre cose.”
“Dimmi.”
“La prima: polenta integrale o classica?”
“Vedo che sei già al corrente... classica, dai. Seconda cosa?”
“Ho fame.”
“Se vuoi ho delle arachidi...”
“Tostate? Con tanto sale? Tipo che dopo non ho più le papille gustative?”
“Ehm... no. Arachidi esplose. Terza cosa?”
“Forza Toro.”
“Sì, Diretùr, sempre. Fai un salto qui, dai... Sagliets fa crescere funghi sulle pareti, io faccio esplodere arachidi, tu... tu ci credi sempre: è il tuo superpotere.”
“Oh.”
“Uh.”
“Esagerata...”
“No. Ah, porta anche la chitarra quando passi dal mio antro...”
“Ma no, dai... non la prendo in mano da due anni...”
“Io ho ripreso a suonarla dopo trenta: il tempo non esiste...”
“Proviamo 'The Rain Song'?”
“Sì.”
Sorrido, poco dopo il Diretùr entra, ci accomodiamo su due sedie, uno di fronte all'altro e... musica è.



Questa settimana tocca a “Proud Mary”, Creedence Clearwater Revival (“Bayou Country”, 1969). Chi indovina perché ho scelto proprio questa canzone, vince... un bel niente, se non la mia gratitudine.



Dedico “Proud Mary” a quelli che, come la gente sul fiume di cui nel brano dei CCR, sono felici di dare e condividere.