mercoledì 13 marzo 2013

Il pensiero sbagliato

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“Ou, che cosa fai: contesti?”
Lo guardo con gli occhi spalancati, occhi da manga, ho quasi paura che mi cadano dalle orbite.
Non comprendo la domanda e ne faccio una io: “Contestare? Che cosa?”
“Ma guarda che cazzo di sciarpa ti sei messa...”

Il pensiero sbagliato.
Ce n’è sempre uno che rode le chiappe e deve per forza essere verbalizzato.
Il pensiero sbagliato è irresistibile.
Rode le chiappe, ma prima di essere scaraventato nel mondo fa il giro di tutto il corpo senza passare dal cervello.
Esce diretto e dissonante.
Che cos’è ‘sto brusio?
Ah, il tuo pensiero sbagliato... non potevi tenertelo per te? No? Dovevi a tutti i costi rendermi partecipe della TUA verità? Non ti viene MAI il dubbio di poter essere in errore? Evidentemente no.

Devo dire tutta la verità, la MIA verità.
Devo dire che l’ho fatto apposta.
Un po’ l’ho fatto apposta.
Andare allo stadio con quella sciarpa... sì, sapevo che ci sarebbero state domande.
Ero pronta, avevo messo un po’ di polemica in saccoccia: sapevo che non sarebbe rimasta immota.

La scena era idilliaca: passaggiavo pigramente in compagnia della mia pusher di miele (la mia figliuola) aspettando di gustare i panzerotti di magro da Stringi! (un ringraziamento di cuore da parte di  tutti ‘sti rompipalle di vegetariani, setta di sciammannati cui appartengo), aspettando di entrare dentro allo stadio, aspettando di salire quelle scale, quelle scale... tenendo la manina di Giulia nella mia manona, ripensando inevitabilmente a quando la manina era la mia e la manona era quella di mia mamma o di mio papà... aspettando il Toro.

“Sagliets!”
“Ciao, Strega Nocciola, anche tu qui al capolinea del 17?”
“Tessssssoro, sto andando allo stadio... dove dovrei essere?”
“Boh, in redazione, per esempio: il Diretùr ha convocato l’assemblea plenaria... e poi oggi è martedì: perché razzo stai andando allo stadio?”
“Sagliets, Sagliets... piccolo ingenuo... il tempo non esiste... vuoi ficcartelo nella zucca?”
“Ossignur... il tempo non esisterà, ma se non arriviamo per l’inizio dell’assemblea saran problemi...”
“Non ti preoccupare: arriverò un quarto d’ora fa, garantito alla menta.”
“Un quarto d’ora... FA?”
“Sol-La-Si-Do. Comunque sono IO che vorrei sapere che cosa fai TU qui al capolinea del 17...”
“Sono venuto a stupirmi di trovarti qui.”
“Bravo, Sagliets: finché continuerai a stupirti, riuscirai a non instupidirti...”

Aspettando il Toro, passeggiavamo. Le raccontavo del mio primo concerto (Bob Marley, 28 giugno 1980).
“Eravamo arrivati presto, io e lo zio, faceva un caldo boia e...”
“Dove eravate?”
“Lì dentro,” le dicevo sorridendo.
Spalancava gli occhi e domandava: “Lì dentro... dove?”
“Dentro allo stadio, zuccherino, sull’erba.”
“Wooooooow!!! E poi?”

E poi rispondevo alle sue domande, mi inebriavo del suo stupore e dei suoi occhi grandi.
Dopo un po’ incontravamo l’Amico e Fratello inglese Chris: le sue battaglie quotidiane con l’italiano sono ammirevoli. Ha scelto il Toro, è stato scelto dal Toro, fa parte della Grande Famiglia, è un piacere per me regalargli un po’ di tregua linguistica e chiacchierare in inglese. Chiacchierando rumorosamente, convenivamo entrambi di essere nati nel paese sbagliato e ringraziavamo comunque il Toro per averci fatti incontrare.
Tempo fa gli avevo chiesto di portarmi una cosa dall’Inghilterra ed aveva esaudito il mio desiderio: apriva lo zaino e tirava fuori un sacchetto.
Me lo porgeva e io mi commuovevo un po’ (tanto).
Lentamente, con le mani che tremavano, tiravo fuori dal sacchetto l’oggetto delle mie brame e poi lo stringevo forte al petto. Ringraziavo Chris, indossavo il regalo e mi pavoneggiavo. Accettavo di buon grado di farmi fotografare con il mio trofeo e mi veniva voglia di gridare: “Solo noi del Toro siamo così!”
Alcuni notavano che c’era qualcosa di diverso in (o su?) me, ma non s’azzardavano a favellare e/o si facevano i cavolacci loro (cosa buona e giusta).
Alcuni.
Uno no.
Uno si avvicinava e, con tono scazzato, dava voce al suo pensiero sbagliato.

“Ou, che cosa fai: contesti?”
Lo guardo con gli occhi spalancati, occhi da manga, ho quasi paura che mi cadano dalle orbite.
Non comprendo la domanda e ne faccio una io: “Contestare? Che cosa?”
“Ma guarda che cazzo di sciarpa ti sei messa...”
“Embe’? È la sciarpa dei Wolves, me l’ha portata Chris dall’Inghilterra... hai problemi?”
“Wolves?”
“Wolverhampton Wanderers, i Wolves, chi altri?”
“Ma che cosa stai dicendo?”
“Allora, ascoltami: hai presente Torino? Ecco: parti e vai su verso Nord passando per il Frejus. Poi attraversi tutta la Francia, arrivi a Calais, prendi un traghetto, sbarchi a Dover e ti dirigi verso Nord Ovest. Superata Birmingham sei praticamente arrivato. In pratica: esistono anche altri mondi oltre al tuo... non è magnifico conoscere cose nuove?”
“Non mi freghi, tu... quella è una sciarpa nero-oro. Ne ho una anche io. Me la mettevo sempre durante la contestazione. Questa volta arrivi tardi.”
“E tu sei proprio tardo, fanciullo. Il tuo è un pensiero sbagliato.”
“Sbagliare io? Mai! Non scherzare!”

Ah, il tuo pensiero sbagliato... non potevi tenertelo per te? No? Dovevi a tutti i costi rendermi partecipe della TUA verità? Non ti viene MAI il dubbio di poter essere in errore? Evidentemente no.

Devo dire tutta la verità, la MIA verità.
Devo dire che l’ho fatto apposta.
Un po’ l’ho fatto apposta.
Andare allo stadio con quella sciarpa... sì, sapevo che ci sarebbero state domande.
Ero pronta, avevo messo un po’ di polemica in saccoccia: sapevo che non sarebbe rimasta immota.

“Infatti sono serissima. Così seria da dirti, senza la minima esitazione, che t’ses propi ‘n piciu.”
“Embe’. Eccheccazzo. Non ci si può sbagliare, Madama Perfezione?”
“Veramente lo sbaglio l’hai fatto tu.”
“Ma io pensavo...”
“E io ti ho detto che non era così.”
“Eppure sembrava...”
“Ma non era. La molliamo lì o andiamo avanti all’infinito?”
“E vabbe’, anche tu, però...”
“Anche io ciao, OK? Andiamo, Giulia.”
Quella manina nella mia manona, continuiamo la nostra passeggiata.
Ogni tanto accarezzo la mia sciarpa nero-oro, assicurandomi che lo stemma dei Wolves sia ben visibile, assicurandomi che nulla di Granata sia lasciato da parte nel mio procedere verso persone che della verità fanno uso migliore.
Anzi no: verso persone che si pongono dubbi e quando non sanno... be’, chiedono. E basta.

“Oddeaddeaddea. Che tristezza.”
“Sì, concordo. È incredibile...”
“Mia mamma mi ha perfino telefonato durante il recupero, invece che dopo...”
“E che cosa ti ha detto?”
“Che cosa vuoi che mi abbia detto? Che la prossima volta andrà meglio, Sagliets...”
“Secondo te, in che cosa abbiamo sbagliato?”
“Non lo so, Sagliets... sono sconfortata... è l’ennesima volta che cerco di fare questa torta, ma è una battaglia persa... e questa volta non c’è proprio nulla da recuperare...”
“Spalanco le finestre e il lucernario, va’... ma come diavolo ti è venuta l’idea di portare il tuo vecchio forno qui???”
“Boh, passo più tempo a pensareparlarescrivere di Toro che a fare altro e i Led Zeppelin ne soffrono un po’ e allora ho pensato che adoperarmi in alchimie culinarie mi avrebbe potuto distrarre un po’...”
“Sentimi bene, vulcanica creatura... datti tregua, solo per un po’...”
“Tregua... bella parola, Sagliets... come posso darmi tregua? Come? Pensa che prima ho guardato nello Specchio delle Visioni ed ho visto... ho visto...”
“Hey... che cos’hai visto?”
“Ho visto un tizio che leggeva le prime righe di questo nostro dialogo su [testata su cui scrivevo] ed ho visto che stringeva i pugni, le nocche gli si sono fatte tutte bianche, e poi diceva sibilando fra i denti che noi, noi due e i nostri stimati colleghi, avremmo dovuto prendere una posizione, che non facciamo altro che cianciare mentre il Toro cola a picco, che parliamo troppo poco del Toro, che parliamo TROPPO del Toro, che qui e che là... sai che cosa manca?”
“Dimmi.”
“La voglia di ascoltare. La spinta a non dare tutto per scontato. L’istinto di proseguire per arrivare fino alla fine. Stavamo parlando di quella fottuta torta che finisce sempre per carbonizzarsi, tu e io, mica di Parma-Torino, che diamine... come quella volta in cui sono andata allo stadio con la sciarpa dei Wolves e quello là ha pensato che stessi contestando... è... difficile.”
“Sì, è difficile. Soprattutto seguirti in questi continui spostamenti temporali. Andiamo all’assemblea plenaria? Dobbiamo fare chilometri di scale per raggiungere il maestoso ufficio del Diretùr...”
“OK, andiamo... quattro pappine fanno male, eh?”
“Eh...”
“Già. Speriamo che mia mamma abbia ragione sia per la torta sia per il Toro a questo punto, se no...”
“... se no, diventerò insopportabile, litigheremo in continuazione, spanderemo malmostosità per l’aere e poi torneremo a vivere...”
“Di solito sono io quella che consola gli altri, Sagliets... apprezzo molto il tuo sforzo...”
“Oh be’, ti dovevo un favore, dai...”
“Uno a uno, dunque. Un bel respiro... e palla al centro.”
“OK...”



Questa settimana tocca a “How Many More Times” dei Led Zeppelin (“Led Zeppelin”, 1969). È una canzone d’amore. D’amore disperato. Mi ricorda qualcosa. Vabbe’...






Dedico “How Many More Times” a chi non ha abbastanza palle e, pur tuttavia, pensa di esistere.

Uh, quasi dimenticavo... ancora qualche parola su Parma-Torino.
Sapete come si dice “quarto d’ora Granata” al contrario?
atanarG aro‘d otrauq.
Sigh.