mercoledì 10 aprile 2013

Possessione

Malessere... no: goal!


Assetto da partita del Toro vista da casa: figlia che gironzola per casa, marito che guarda un film, figlio ed io davanti allo schermo.
Sono già successe cose.
Il Toro è andato in vantaggio, sono stati annullate reti per parte, intervallo.
“Mamma, mi chiami quando inizia il secondo tempo?”
“Chiamami tu: vado a scrivere due righe sul mio mal... sul primo tempo.”
“Hai detto MAL, mamma. MAL che cosa?”
“No, niente... mi sono sbagliata. Dai, ti chiamo io.”

Durante il primo tempo avevo sentito la Stefi e quasi non credevo alle mie orecchie nel sentirmi dire ciò che le dicevo.
Ero un concentrato di negatività e malmostosità.
Ero totalmente diversa da quella che sono.
La curiosità, in ogni caso, mi spingeva a continuare ad ascoltarmi tirare fuori parte del mio lato oscuro.
Fra i ripetuti “Manca qualcosa a centrocampo” della Stefi, procedeva il mio intercalare di: “Non ha senso che debba provare questa inquietudine perché stiamo vincendo”, “Le mie coronarie non possono reggere”, “Tanto va a finire male” e altre giaculatorie tinte di nero.
Una parte di me, improvvisamente, alzava il capo e mi faceva dire: “Stefi, non è normale che IO stia parlando così.”
“Già, non è per niente normale... trattasi di presago, forse?”
“Ma che presago e presago... trattasi di anormalità pensatoria e sensoriale e basta... che palle... ripeto: mi hai mai sentita parlare così?”
“No.”
“Ci sentiamo tra un po’, OK?”
“Va bene, va bene, va bene.”

Totalmente fuori fase.
Io.
Così fuori fase che al goal del Bologna, il goal dell’uno a uno, con aria dimessa e digrignando i denti mi rivolgevo a mio figlio dicendogli: “Ciccio, vai a dire a babbo che stiamo perdendo due a uno.”
“Ma... mamma...”
“Hai sentito quel che ti ho detto? Rauss, andas, muoversi.”
“Vabbe’, mamma, io vado dal babbo ma non capisco perché devo dirgli questa cosa...”
“Ou, ciccio... me lo sono sognato il goal del Bologna? Guarda lo schermo, magari è più facile credere alla TV che alla mamma... che cosa c’è scritto?”
Alzavo gli occhi e la TV diceva: BOG-TOR 1-1
Venivo colta da una vertigine, mi voltavo verso mio figlio e, dopo essermi rovesciata un secchiello di cenere in testa, gli dicevo: “La mamma è scema.”
“Ma no, dai... non sei scema...”
“Non contraddire una donna anziana e scemissima...”
Si metteva a ridere, il giovinastro, si metteva a ridere.
Mi scuotevo dalle spalle quella che - evidentemente - era stata un breve caso di possessione demoniaca e mi mettevo a ridere anche io, riappropriandomi del mio normale status di Silvia fiduciosa nei confronti del processo vitale e in totale dissonanza/discordanza con il sentire di tutti i tristoni.
“Certo che quando sono scema, sono TANTO scema, néh?”
“Ma noooooo, mamma... sei solo TANTO innamorata del Toro.”
“E che cosa ne sai tu dell’amore, ciccio?”
“Be’, non tanto... ma lo so riconoscere: forse è un mio talento, mamma!”
Lo stritolavo in un abbraccio che scioglievo in fretta per tornare a concentrarmi sulla partita.
Ero perfino contenta: temevo in un ‘biscotto’ ma se la stavano giocando tutt’e due le squadre, tutt’e due... che bello il gioco del calcio, che bello!

Che bello ‘sto ca§§o.
Il Bologna andava davvero in vantaggio.
Peggio: nell’ultimo quarto d’ora.
Il demone depressivo tentava nuovamente di insinuarsi nei meandri del mio essere, ma una cortina Granata ne impediva l’ingresso.
Tra un “Dai, dai, dai!” e un “Dai, dai, dai!” (l’esclamazione è la stessa, il tono di voce no), nell’impossibilità di capire se volessi rimanere seduta o alzarmi in piedi, succedeva una cosa.
Il Toro segnava.
Allo scadere della partita.
Quando proprio non ce n’era più.

A volte non ci sono più quarti d’ora a rovescio, non ci sono più tristoni, non ci sono più demoni, non c’è più nulla se non un orgiastico e orgasmico senso di Toro.

Che urlo ho piantato poco dopo il goal... ho ancora mal di gola adesso.
E i vicini di casa, quando mi vedono passare, mi guardano con sospetto.

È stato strano sentirmi come mi sono sentita fino al mio ‘risveglio’.
Non sono una che si arrende tanto facilmente.
In realtà non avevo manco iniziato a combattere.
Dopo, solo dopo, mi sono domandata: “Ma che razza di vita fanno quelli che pensano che tutto debba per forza e sempre andar male? Vivono veramente? Oppure lasciano che i giorni trascorrano inesorabili per poi, sul calar della loro storia terrena, rendersi conto di aver tralasciato di fare l’unica cosa per cui erano venuti al mondo?”
Mi sono anche risposta: “Tristoni.”
La tristezza spesso è una scelta di disposizione d’animo che si fa quando si pensa che il mondo trami alle proprie spalle.
Il mondo... già, il mondo... il mondo se ne fotte.
Il mondo se ne fotte di come sta, di ciò che prova, di ciò che sente il singolo individuo.
Oh be’, ci sono momenti di comunione (e anche di discordanza) con altri individui, ma in fondo soli nasciamo e soli moriamo e in mezzo... oh be’, non è divertente provare a vivere? Ad emozionarsi? A provare sentimenti, corroboranti o distruttivi che siano? A conoscere se stessi?

Mi è risultato ‘strano’ essere diversa da come sono normalmente: non mi sono riconosciuta subito.
Poi ho capito che c’era ancora spazio.
Pensavo di essere diventata grande e invece ho ancora tanta strada da percorrere... ed è una strada che riguarda me e la conoscenza che ho di me.
Pensavo di avere una forma mentale ben definita in termini di tifosa del Toro e invece no.
Nonostante non mi sia piaciuto essere una tristona, ho apprezzato ciò che andava ad occupare un posto preciso nella mia interiorità.
Ora che conosco quel luogo di me... oh be’, posso anche chiuderne la serratura a doppia mandata e buttare via la chiave.
Ho sperimentato l’essere tristona, ora posso tornare a sorridere.

“‘zzo ridi, Sagliets?”
“Ciao, salama, mi vedi?”
“No, ti immagino, ciuco... bella pensata quella del Diretùr di dotare i nostri PC di webcam... non potremo più metterci le dita nel naso, ora...”
“... però possiamo farci le pernacchie senza spostarci di un millimetro! Non trovi che questa redazione sia un po’ troppo... come dire... estesa? Per venire nel tuo antro devo fare...”
“Undici passi, Sagliets, undici. Certo che se ti ostini ad indossare le ciaspole anche qui, anche undici passi diventano problematici...”
“Noiosa. Sono molto contento che i nostri due uffici siano vicini, sai?”
“Oh. Anche io. Molto contenta. Tantissimo. Ronf.”
“Ma che antipatica... ascolta, devo farti una domanda. Posso?”
“Sì. Adesso spengo il PC. Ciao.”
“Ma devo ancora farti la domanda!”
“Uh, oh, ah... credevo che la domanda fosse ‘Posso?’”
“Sei simpaticisssssssssssssssssima. È una cosa che voglio chiederti da un po’ di tempo... perché hai ‘sta fissa del numero undici?”
“Oh... è una storia lunga, Sagliets... mi sono innamorata di quel numero quando l’ho visto sulla schiena di Pulici. Sai, è un numero che ricorre con una certa frequenza nella mia vita... e questo lo so da sempre, ma... oh be’, sai quando ero una bambina avevo una bassissima autostima. Però c’era quella creatura che sembrava provenire sia dal Paradiso sia dall’Inferno, il mio Pupi, che portava quel numero sulla schiena. Sulla Maglia. E allora avevo iniziato a pensare che il numero undici fosse speciale. Capisci, Sagliets? Pulici, oltre ad essere Pulici, è stata la scintilla per iniziare a guardarmi dentro. Contento, adesso?”
“Sì, grazie (snifff)”
“Perché piangi?”
“Non sto piangendo: soffro di allergia (sniffff)”
“Ah sì? Io godo d’allegria, invece. In ogni caso tu stai piangendo, non negarlo.”
“Un po’ sì (snifffff)... è che a volte mi succede quello che è successo a te durante Bologna-Toro, divento un tristone e poi... e poi tocco il cielo con un dito. Non mi sento più solo, capisci?”
“Eccome, ciccio, eccome... vieni qui? Ho comprato dei nuovi vinili...”
“Va bene, arrivo. Scelgo io quale ascoltare?”
“Col cavolo. Dai, muoviti... forza Toro, néh?”
“No, forza Toro alé!”



Questa settimana tocca a “Communication Breakdown” (Led Zeppelin, album omonimo, 1969, terza traccia, secondo lato).





Dedico “Communication Breakdown” alla momentanea mancanza di comunicazione fra me e me, a mio figlio che ha la pazienza di un santo nel convivere con una madre sbiellata come la sottoscritta, alla Stefi e al centrocampo sguarnito del Toro.